Anna Mazzi e Veronica Nicora , due giovani universitarie, offrono le proprie impressioni dopo la visione del film “ Unplanned” a Varese, il film verità tratto dalla storia vera di Abby Johnson.
“ Ci dicono che il feto non è niente”…
Qualche giorno fa ho avuto la possibilità, grazie alla proposta delle associazioni “Insieme per la Vita” di Varese, di partecipare alla visione del film “Unplanned”. Questo film narra della vera storia di Abby Johnson direttrice di una delle maggiori cliniche abortive statunitensi della Planet Parenthood. Il film racconta di come Abby abbia deciso di lasciare per sempre il suo lavoro nella clinica dopo aver visto e partecipato all’esecuzione di un aborto guidato da ultrasuoni e di come quell’episodio l’abbia cambiata e portata a diventare una grande sostenitrice della vita, personale – ora ha otto figli – e universale. Le immagini che raccontano questa storia sono davvero forti e dopo la visione di questa cruda testimonianza non si può rimanere indifferenti su un fatto, purtroppo praticato anche in Italia, come l’aborto.
Ci viene raccontato che quel piccolo feto che si forma nella pancia della mamma dopo il concepimento non è niente: è semplicemente una “presenza” che, dopo circa tre mesi (tempo consentito per praticare l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia e in gran parte del mondo) chissà per quale strana “magia” o spiegazione scientifica, si trasforma in un bambino.
“ Quella presenza è un essere umano!”
Nel film viene mostrata la stanza dove vengono portati i bambini fatti a pezzi durante l’aborto chirurgico e dove vengono ricomposti per essere certi che nulla sia rimasto nella pancia della donna che ha deciso di liberarsene. Ci sono volti, braccia, gambe, esseri umani che cinicamente vengono ricomposti, come un puzzle 3D che ci mostra l’immagine reale e concreta di un bambino! Quella presenza è un essere umano!
Purtroppo quello che ci viene detto è una bugia, perché quella “presenza” non è un qualcosa ma qualcuno. Quel piccolo feto vive nel grembo materno: respira, si muove, pensa, prova emozioni, ha un cuore che batte... Se questa non è vita, cos’altro lo può essere? Sempre nel film, nella scena dell’esecuzione dell’aborto, si vede chiaramente come quel bambino che sta per essere abortito, si muove e scalcia cercando di difendersi, lottando per la sua esistenza. Fin dal momento del concepimento quindi nella pancia della mamma c’è vita e chi pratica l’aborto commette un omicidio perché uccide una vita.
Ancora nel film la Abby attivista pro choice commenta con indignazione l’uccisione di un medico abortista avvenuta in una chiesa. L’uomo assassinato, dice Abby, è morto senza potersi difendere e senza aver commesso alcun crimine. La stessa indignazione non si è mai esplicitata, all’interno della clinica, per i bambini innocenti ed inermi uccisi nel luogo più sicuro dove poter stare per crescere: la pancia della mamma.
“Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata!”
Dopo la visione di un film così forte credo non si possa non lottare per la vita di questi piccoli che, innocenti e incolpevoli, continuano ad essere uccisi.
E allora noi lotteremo, noi “ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata” perché la vita è il dono più grande e più bello che si possa ricevere, è il dono di Dio e noi lo difenderemo da tutto e da tutti.
Non dobbiamo smettere di denunciare, informare, scuotere le coscienze come ha fatto e sta facendo Abby Johnson che ci ha raccontato la sua vita perché potessimo vedere. Dopo aver visto e conosciuto però non possiamo più tacere, non possiamo più restare fermi. ( Anna)
La scelta dell’aborto e il conflitto personale in ambito lavorativo
Ho scelto di vedere questo film perché ho pensato mi potesse aiutare a svolgere meglio il lavoro che andrò a fare. Studio per diventare assistente sociale e mi piacerebbe lavorare, un giorno, in un consultorio.
Studiare le normative sull’aborto questo luglio mi ha fatto riflettere molto.
La legge vuole che la donna venga dissuasa, vuole che la donna conosca le procedure e le possibili conseguenze ( leggi gli articoli della legge 194/78) : mi chiedo se questo venga rispettato nei Servizi pubblici che si occupano di IVG.
Inoltre, mi rendo conto che nonostante io senta i miei valori cristiano-cattolici saldi, ogni volta che mi scontro con questo tema qualcosa vacilla: si tratta della libertà dell’altra persona, che non posso intaccare con la mia. Quindi, se mai dovessi andare a lavorare in Servizi di questo tipo, mi piacerebbe saper informare al meglio, rispettando comunque al massimo la libertà di chi avrò di fronte e potendo essere d’aiuto anche qualora la decisione presa sia diversa da quella che avrei abbracciato io.
Il film Unplanned senza dubbio scuote
Le scene trattate sono crude e pensare che siano reali mette terrore.
Mi sono trovata a provare tante emozioni tutte insieme: disgusto, tristezza, ingiustizia, amarezza, terrore.
Ammetto che alcune immagini mi hanno scosso particolarmente e a questo riguardo mi sono chiesta: bisogna veramente arrivare a vedere tutto? A sentire e a osservare ogni attimo di quel momento di sofferenza, per comprendere?
A questo non ho una risposta, ma se è per la Verità Vera, per avvicinarmi il più possibile alla Verità, faccio anche questo sacrificio.
L’importanza di “ aver visto” per capire
La storia di Abby Johnson mi fa riflettere anche sul fatto che l’essere umano è portato a giustificare la violenza: finché lei stessa non ha visto un aborto con i suoi occhi, ha continuato a giustificare se stessa e i suoi colleghi, convinta di perseguire un ideale di bene. Mi chiedo quindi fino a che punto l’uomo si può lasciare condizionare? Così tanto? Forse come lei abbiamo tutti bisogno di vedere quello che ha visto, per poter realmente discernere ciò che è bene da ciò che è male.
La scena dell’aborto colpisce sia per la crudezza che l’accompagna, ma anche per l’immagine dentro gli schermi dell’ecografia: il piccolo, di 13 settimane, anche abbastanza formato, lotta e si dimena, per non cedere al risucchio dell’aspiratore.
In quel momento capisci che porre fine anche a uno solo di quegli “ammassi di cellule” significa porre fine a una vita umana, che lotta, anche se piccola e debole, nel ventre della madre, per rimanere in vita.
Mi fa riflettere su quanto siamo attaccati alla vita, sin da dentro alla pancia della mamma: com’è possibile? Da dove viene? Ancora non sa cosa la vita sia, eppure quell’esserino di 13 settimane, si ribella alla sua fine.(Veronica)
Se sei in difficoltà per la gravidanza, contatta il Movimento e Centro di aiuto alla Vita di Varese. Non sei sola!