La vita è simile ad un’avventura; siamo di fronte ad un presente che si avvera passo dopo passo, senza preavviso. In fondo, è proprio in questa continua sorpresa il bello della vita-avventura, poiché, come diceva Cris Mc Candless nel libro Into the wild, “Non esiste nulla di più devastante di un futuro certo”.
Facciamo dei sogni, abbiamo dei desideri che talvolta si avverano, altre volte ci deludono. Talvolta siamo grati per i doni che riceviamo ma attraversiamo anche momenti terribili in cui la paura, la delusione o la desolazione prendono il sopravvento.
La vita di chi spera nell’amore di Dio è segnata da sentimenti che si alternano tra il ringraziamento per la felicità sperimentata e una domanda di senso in merito al dolore e alla sofferenza provata. La complessità di quanto succede nel mondo ci lascia molto spesso talmente smarriti e increduli che ci chiediamo perché, dopo tanto progresso della cultura, della scienza e della tecnica, ancora non abbiamo sconfitto la fame, l’ignoranza, la guerra e l’ingiustizia sociale. Talvolta, come Giobbe nella Bibbia, ci chiediamo perché il destino si accanisce sopra di noi, a stravolgerci l’esistenza. Un amore perduto per sempre, una malattia improvvisa, una morte per Covid, la morte bianca sul lavoro, la strage infinita degli innocenti non ancora nati per l’aborto volontario… perché tanta sofferenza?
Morire sul lavoro, quale sicurezza sociale?
Le tragedie sul lavoro non si fermano nemmeno sotto Natale nelle nostre città, come la gru appena caduta in via Genova, a Torino. L’Inail ha pubblicato gli open data dei primi otto mesi del 2021: dall’inizio del 2021 fino a fine agosto sono morte più di tre persone al giorno sul posto di lavoro. In totale i decessi sono stati 772. Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Istituto – tra gennaio e agosto – sono state 349.449, oltre 27mila in più (+8,5%) rispetto allo stesso periodo del 2020… Le morti si susseguono in modo drammatico e, oltre ai giovani, l’elenco è caratterizzato dai padri di famiglia, perciò intere famiglie subiscono il danno. Vengono stanziate delle indennità (che si possono consultare sul sito del Ministero e delle Politiche sociali qui riportato) ma, per quanto di non poca rilevanza, l’indennizzo non è mai sufficiente a coprire il mantenimento di una famiglia e la mancanza del capo famiglia è una tragedia per la famiglia e per la società stessa. Quale sicurezza e quale giustizia sociale?
Il Covid e i cari nonni
Continua a succedere ancora e ancora. Perdiamo parenti, amici, conoscenti. Restiamo increduli di fronte alla morte che ci porta via gli affetti più cari, ancora una volta senza preavviso. I nonni che muoiono lasciano dietro di sé una scia di dolore che non può essere colmata da nulla. E’ un’epoca intera a svanire, un pezzo di storia in cui abbiamo vissuto crescendo in loro compagnia, con il loro aiuto e il loro esempio come figli, nipoti o amici. Nel ricordarli oggi, ci accorgiamo di dover loro davvero molto. Essi hanno superato, proprio come Giobbe, mille fatiche e mille dolori, tra cui la guerra, forse perfino due guerre mondiali. I nonni sapevano vivere di poco ed erano saggi nel risparmio; erano capaci di rispettare gli impegni presi quando, in altri tempi, la parola data non ammetteva ripensamenti.
La strage degli innocenti continua
Come sono le famiglie in cui muore un bambino non ancora nato? La tristezza invade i cuori dei genitori e dei fratelli. Anche quando la donna è sola, senza un compagno o un marito, una pena infinita stringe il suo cuore. Un bambino infatti è infinita tenerezza, dolcezza, è pura innocenza che chiede amore; ogni bimbo che nasce rinnova la speranza nella vita e l’aspettativa di felicità.
Nel suo cuore, ogni donna lo sa e il periodo dell’attesa durante la gravidanza le consente, per nove lunghi mesi, di prepararsi all’evento nascita, fisicamente e spiritualmente. Abbracciare la maternità significa perciò diventare culla accogliente, scoprirsi donna nella dolcezza dell’accudimento, realizzarsi nel dono del proprio corpo al bambino attraverso il parto, l’allattamento, la cura attenta e puntuale.
Tuttavia, se il feto è percepito come estraneo, non voluto e rifiutato, la donna, ma anche tutta la sua famiglia, perdono oltre al bambino forse anche l’occasione di diventare persone migliori, di vivere una svolta nella loro vita, quella magari di uno snodo evolutivo importante dal punto di vista psicologico (leggi in merito anche questo nostro articolo).
Don Bosco e l’Angelo custode
L’uomo che come Giobbe crede nell’amore di Dio, crede anche nella preghiera; spera nell’amore di Dio attraverso la sua parola rivolta a Dio, una parola immersa in un silenzio spirituale. La preghiera è una domanda, spesso una supplica, rivolta a Dio. E’ un filo di comunicazione che assomiglia ad una musica del cuore.
Questa poesia di Ugo Fasolo, con il suo vivissimo senso della spiritualità, sembra descrivere proprio una preghiera, vista come un canto e una melodia musicale che, elevando l’animo, fa entrare in sintonia lo spirito umano con quello divino.
Canto e luce (a Elena Livini)
Come l’intento palpito
sul bianco collo affiora
nasce soavemente al canto
la candida voce invitata
dagli accordi in ritmo sui tasti.
Limpida la nota s’accresce,
aerea si espande; lieve variando
diviene melodia. Il fluire sonoro
in più vasti cerchi si mòdula
e libero evolve in alate
eliche e ricorrenti curve.
Architetture celesti di suoni
danzano nello spazio silenziose:
il suono è divenuto intatta luce.
Ne stillano certezze d’oltre i sensi;
attimi soli e indicibili,
luminosa alba della trascendenza.
Da La sorte pura, p.60, Ugo Fasolo
Per quanto riguarda la preghiera, Don Bosco invitava a rivolgersi agli Angeli, in quanto messaggeri celesti che rappresentano da sempre, anche nella letteratura, nella mitologia e perfino nel cinema (Il cielo sopra Berlino, Wim Wenders, 1987), entità spirituali vicine al cuore dell’uomo.
Angeli che non si vedono ma che si fanno misteriosamente presenti magari nel sonno, durante il sogno. Angeli che aiutano a comprendere il proprio destino, che consigliano sul da farsi, che richiamano ai valori essenziali.
“Se siete in pericolo, chiamate gli angeli!“
Così diceva Don Bosco nei suoi Fioretti. Eppure, credere nel mondo invisibile è diventato talmente difficile per noi uomini moderni, immersi come siamo in una società che ci parla prevalentemente di “cose” materiali!
La figura dell’Angelo oggi viene relegata alla dimensione infantile, come se stessimo parlando di favole per i bambini. Qualcosa che assomiglia al Presepe stesso, che stiamo preparando proprio in questi giorni di attesa del S. Natale. La rappresentazione del Presepe porta con sé un meraviglioso messaggio di pace e di amore. Gli adulti sorridono davanti al presepe ma il loro cuore è chiuso allo spirito e non si fanno illusioni. Tuttavia, il Natale non è soltanto una favola per i più piccini. La capanna non deve ingannare: in essa, la Luce della Salvezza per tutti gli uomini brilla negli occhi di un bimbo appena nato, Gesù il Salvatore, l’Amore, veramente esistito 2000 anni fa. “Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno” (Mc 13, 24-32)
Don Bosco aveva un affetto sconfinato per l’Angelo Custode, egli ci viene in aiuto per aiutarci a comprendere che lo Spirito parla ancora e per sempre al cuore dell’uomo e può guarirlo dal cinismo e dalla disillusione, aiutandolo nel momento del bisogno e, più in generale, lungo tutto il cammino della vita.
Il muratore e l’Angelo Custode
Raccontiamo in merito un episodio famoso della vita di don Bosco. Una domenica, nel distribuire ai giovani un’ immaginetta che portava la preghiera all’Angelo Custode, don Bosco disse: “Abbiate devozione al vostro Buon Angelo! Se vi troverete in qualche grave pericolo o di anima o di corpo, invocatelo ed io vi assicuro che esso vi assisterà o vi libererà.”
Ad ascoltarlo c’era un garzone muratore, che si infilò in tasca l’immaginetta.
Pochi giorni dopo, lavorava sulle impalcature di una casa in costruzione. Era all’altezza del terzo piano, quando il ponte su cui si trovava con due compagni si sfasciò con tutto il carico degli assi, delle pietre e dei mattoni, e piombò rovinosamente nella via. Il giovane si ricordò delle parole di Don Bosco e gridò: “Angelo mio, aiutatemi!”. Quella preghiera fu la sua salvezza.
I suoi compagni morirono al’ospedale poche ore dopo, mentre lui, appena la gente si avvicinò credendolo morto, s’alzò in piede perfettamente sano senza aver riportata neppure una scalfitura: e subito si rimise al lavoro. La domenica seguente a San Francesco, raccontò la sua avventura ai compagni, ripetendo a tutti come la promessa di don Bosco si fosse avverata.
Perché allora anche noi non invochiamo gli angeli per proteggerci quando usiamo macchinari o ci muoviamo nelle nostre auto, camion e mezzi vari?
Angeli a nostra disposizione
Perché gli Angeli? Semplicemente perché Dio ci ama e non sappiamo quanto. E’ questo il grande rapporto che a Natale dobbiamo recuperare o avviare forse per la prima volta: il rapporto con il Creatore. Inseriamo un angelo nel nostro presepe e guardiamolo con lo sguardo della fede.
Nella Sacra Bibbia ci sono più di 50 passi che parlano di Angeli e della loro esistenza, in elenco alcuni passi che lo confermano (Giobbe, cap.25 vers.3 – Ebrei, cap.12 vers.22 – Salmo 90, vers.11-12)
Abbiamo dunque una schiera di Angeli Custodi al nostro servizio e chiediamo loro protezione: l’Angelo individuale, L’Angelo della famiglia, l’Angelo delle città, l’Angelo delle Nazioni (come ad esempio l’Angelo del Portogallo, conosciuto per le apparizioni a Fatima).
Guardiamo alla vita con lo sguardo della spiritualità che sa andare in profondità, oltre le apparenze. La vita è un dono che va protetto, anche quando ci sembra difficile andare avanti e siamo in difficoltà, abbiamo fiducia nell’amore di Dio, accogliamo la vita, chiediamo aiuto e l’aiuto verrà.
Susanna Primavera