“I bambini rompono i coglioni. Tutti i bambini. Non è vero quel che dicono, che i figli sono maleducati per colpa dei genitori; prima o poi un bambino anche educatissimo piangerà, si lamenterà, disturberà, sconvolgerà il vagone del treno su cui viaggio, prenderà a calci il sedile su cui sono seduta in aereo… Non amo i bambini, ma sono predisposta ad accompagnare gli adolescenti.” Tratto dall’ultimo libro della scrittrice sarda appena mancata Michela Murgia, “Tre ciotole”.
Queste parole così dure verso i bambini, che in un primo momento si è tentati di prendere per una battuta spiazzante ad effetto, fanno trapelare una certa fatica ad andare verso l’infanzia e sottolineano il “fastidio” che procurano all’adulto che se ne deve occupare. Questo genere di critica verso il mondo dell’infanzia e del ruolo genitoriale, mi suggerisce alcune riflessioni.
Il mondo dell’infanzia
Se mi guardo indietro nel tempo della mia vita, vedo quattro epoche, in cui i bambini mi hanno colpito e incuriosito in modo diverso, a seconda dell’età. Dapprima, da giovane adolescente, mentre nel tempo libero facevo la baby-sitter. Mi sentivo a mio agio nel doverli accudire, giocare con loro, osservarli nella loro originalità, spontaneità e vivacità. Qualcosa in me si ritrovava stando in loro compagnia, forse una semplicità di fondo, l’allegria legata al gioco e la simpatia che nasceva dalla relazione.
Verso i trent’anni invece, da giovane mamma, guardavo la mia prima figlia con uno sguardo profondo, come di chi cerca di scrutare l’anima: Chi sei tu? Vogliamo fare amicizia? Sono la tua mamma! Diventare madre mi ha portato ad interrogarmi sui bisogni di un bambino. Guardare negli occhi dei miei figli, era come riflettere lo sguardo in uno specchio. Si sostiene che il bimbo si rifletta nello sguardo dell’adulto e, di conseguenza, egli percepisca se stesso a seconda del tipo di sguardo che riceve. Per me, è vero anche il contrario. Il bimbo mi guarda e mi interpella.
Vent’anni dopo, a figli cresciuti, ho orientato la mia professione di grafologa verso il mondo dell’infanzia, specializzandomi in Educazione del gesto grafico. I bambini erano diventati una compagnia costante e un lavoro in studio, orientato al loro supporto in campo educativo e al recupero grafomotorio. Ho iniziato a frequentare le scuole e a tenere corsi di formazione agli insegnanti.
L’amore per i bambini, il desiderio di aiutarli nelle loro difficoltà di apprendimento, mi ha portato, una decina di anni fa, a creare un metodo per insegnare ai bambini a scrivere, un sistema innovativo di insegnamento adatto ai nostri tempi moderni in cui erlle la digitalizzazione rischia di far perdere l’abilità manuale e penalizza lo sviluppo cerebrale, quindi l’intelligenza tutta, come in particolare la memoria e il pensiero complesso.
Oggi che sono diventata nonna, con nipotini ancora piccoli in età prescolare, trascorerre del tempo con loro rappresenta un momento di elezione: il ritorno ai giochi semplici, agli scarabocchi, ai racconti e alle fiabe nella scoperta del mondo affascinante delle parole, dei miti e della saggezza nel fascino e nella suggestione della lettura ad alta voce. La tenerezza del rapporto con un bimbo piccolo rappresenta per me una delle gioie più intime e profonde; uno dei doni più grandi.
Lasciate che i bambini vengano a me!
Odiare i bambini? Non è un pò come odiare se stessi? In fondo, siamo stati tutti bambini.
In questo passaggio del Vangelo di Marco 10:13-16, Gesù cerca la compagnia dei bambini – In quel tempo, presentavano a Gesù dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso».
E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, ponendo le mani su di loro.
Gesù ci insegna ad amare i bambini, a proteggerli, ad essere seri circa il nostro ruolo educativo nei loro confronti. Non solo, ci ricorda che dobbiamo essere simili a loro perché se non torniamo ad essere semplici, fiduciosi e aperti al Mistero, desiderosi di Verità come lo sono i bambini, non troveremo la pace dell’anima, che solo il Signore ci può dare.
Ecco una bellissima preghiera di Padre Léonce de Grandmaison, che inizia così: “Santa Maria, Madre di Dio, conservaci un cuore di fanciullo trasparente e puro come una sorgente…”
Tornare bambini!
Tornare bambini! Qualcuno potrebbe accusarmi di ingenuità. Eppure, ogni bambino che incontriamo, tranquillo o agitato, sereno o angosciato, ha qualcosa da trasmetterci, da donarci, da chiederci, forse. Se non ci immedesimiamo nel bambino non possiamo capirlo. Andare dapprima incontro ai bambini pieni di attenzione e di pazienza è quanto viene richiesto ad una persona adulta. Rispondere poi alle sue domande di senso, è il suo specifico compito educativo.
Guardare negli occhi un bambino può aprire un mondo dentro di noi: che bambino siamo stati? Cosa esprimono gli occhi di un bambino, non ci interpellano forse? Talvolta, l’adulto non si sente pronto ad accogliere il bambino. Può capitare infatti che sia ancora molto giovane e centrato su se stesso e non abbia né trasporto né pazienza per guardare al bambino. Non è capace di andare in profondità e si auto-limita, si fa condizionare dal solo comportamento del bambino. Di solito, con il tempo e la maturazione, l’adulto impara ad andare al di là delle cose, a capire i bisogni nascosti del bambino, riuscendo, in tal modo, ad apprezzare l’infanzia. Accompagnando il bambino nella sua crescita, imparerà anche a curare e a guarire il suo bambino interiore, quel bambino che un tempo egli stesso è stato.
Susanna Primavera