Rinascere dopo il peccato

Da poco la S. Pasqua ci ha portati lungo la via del dolore di Gesù di Nazareth, causato dalla cattiveria e dagli interessi e calcoli politici del sommo sacerdote Caifa e del Sinedrio (Mt 26: 57-75).

Il percorso di Quaresima ci ha condotti lungo la via della fede e della “rinascita” spirituale. Abbiamo meditato sui concetti di: morte e resurrezione, fede e speranza, peccato e perdono.

Il concetto di “risorgere dopo il peccato” è centrale, non solo per il cristianesimo ma per diverse religioni.

Il peccato viene percepito come un male che ci ha allontanato dalla via del bene, quella indicata da Dio e dai principi della Morale.

Essere soltanto consapevoli del proprio peccato non aiuta a ritrovare la pace, anzi, il tormento legato al senso di colpa acuisce con il tempo e non dà pace. Se il peccato è molto grave, il dolore interiore può devastare la psiche.

Senso di colpa e perdono

Per tornare in pace con Dio e con se stessi, occorre un autentico pentimento personale e la grazia del perdono da parte del sacerdote, attraverso la Confessione. La nostra esperienza di volontari nel Movimento per la Vita, ci ha fatto incontrare spesso donne che si sono pentite di avere abortito.

Abbiamo constatato che anche quando c’è il perdono da parte del sacerdote, la donna non si risolleva, non “guarisce” dal dolore per anni, perchè, anche se già perdonata da Dio, non riesce a perdonare se stessa; il suo senso di colpa è più forte.

Psicologicamente inoltre, la perdita del bambino in grembo è equiparabile ad un lutto. Fino a poco tempo fa il lutto non era considerato fonte di patologia. Oggi invece anche il DSM-5 (manuale internazionale di psichiatria) identifica la reazione patologica da lutto come entità nosologica autonoma e la definisce:disturbo da lutto persistente complicato”.

Per il credente, il peccato rappresenta la violazione di un principio morale, una dolorosa frattura nella relazione con Dio. Risorgere dal peccato significa pertanto ritrovare la grazia e la pace interiore per continuare a vivere secondo i precetti della fede.

E’ interessante notare che tale concetto di peccato, legato alla morale, può essere posto in relazione con la prospettiva psicologica di mentalizzazione e di Self-Compassion. Nel senso che la parola peccato può tradursi anche con sinonimi come sbaglio, errore. Si può dire che alla base di un peccato c’è la percezione di uno sbaglio, di un fatale errore.

La tendenza a svalutarsi fino al disprezzo di sé per avere sbagliato: “Che stupido sono stato!” si accompagna spesso a sentimenti di vergogna, di inadeguatezza verso se stessi e di rabbia verso gli altri. Quando la “colpa” percepita è grave, la sofferenza può diventare psicopatologica: ossessione, disperazione, depressione fino al desiderio di suicidio.

Stiamo parlando della sofferenza psichica di chi ha la sensazione (o il dubbio o la certezza) di avere agito o pensato in una dimensione “errata” (errore dal latino vagare, errare) quale vagabondo che ha sbagliato strada perché non ha avuto il passo forte e sicuro di colui che, invece, conoscendo la strada, non si è smarrito per via.

La Self-compassion

La psicologia può aiutarci ad uscire dal tunnel in cui ci infiliamo quando dopo avere sbagliato, cadiamo in uno stato di sconforto e ci avviliamo, perdendo la fiducia in noi stessi e la voglia di riuscire. Continuare a sbagliare, ripetendo sempre gli stessi errori, non ci consente di evolvere, maturare e fare scelte consapevoli.

Tuttavia, è soprattutto da giovani che occorre imparare a conoscersi, saper gestire i propri vissuti emotivi, i propri pensieri e comportamenti.

Il libro “Insegnare la Self-compassion agli adolescenti” di Lorraine Hobbs e Niina Tamura  (ed. Angeli – 2023) affronta il tema dell’aiuto-conforto-cura-protezione che è possibile dare ai giovani adolescenti che si trovano in condizioni di fragilità e provano sentimenti oppressivi di colpa o inadeguatezza o inferiorità.

La Self-compassion porta a trattare se stessi e la propria sofferenza in modo compassionevole, cioè con attenzione e gentilezza, con la stessa qualità di vicinanza che daremmo ad un amico o ad uno sconosciuto, che si trovi in difficoltà.

La sofferenza, la pena o la rabbia per la propria colpa viene affrontata con cura e tenerezza, imparando ad accettare il proprio limite e la propria vulnerabilità. D’altronde, sappiamo tutti che la pazienza verso se stessi è una virtù; essa consente di imparare ad attendere per riuscire ad affrontare sfide e difficoltà con capacità personali nuove, maturate lentamente nel tempo.

Indispensabile si rivela il lavoro sulla consapevolezza emotiva per realizzare un comportamento nuovo, diverso, più equilibrato, empatico e positivo.

La mentalizzazione

Per “guarire” e riprendere coraggio, è necessario smettere di ripensare continuamente alla propria colpa, tormentandosi. Questo pensiero ritornante negativo e destabilizzante ci riporta continuamente ai fantasmi del passato, riuscendo, in tal modo, a farci distogliere l’attenzione dal qui ed ora della realtà presente. In altre parole, non ci dà il senso della realtà.

Rimuginare sull’errore non aiuta minimamente ad uscire dal dolore, anzi, peggiora la situazione. Pensare e ripensare all’errore commesso è come girare a vuoto, chiusi in un cerchio senza soluzione di continuità.

Una cosa è il rimuginare distruttivo della psiche, altra cosa è la mentalizzazione, cioè la capacità di pensare al modo in cui funziona la propria mente. Un processo positivo metacognitivo che aiuta a comprendere e interpretare i propri e altrui comportamenti, in quanto generati da stati mentali particolari: emozioni, idee e desideri, credenze e speranze.

Quando siamo consapevoli dei nostri e altrui pensieri e sentimenti siamo più capaci di imparare dai nostri stessi errori. Saper riflettere a mente lucida, in modo critico, sull’errore significa, ad esempio, contestualizzare il fatto, studiare il ruolo di tutti gli attori protagonisti di quel momento.

Chiedersi in che misura l’ambiente ha influito sulla nostra decisione sbagliata. Quali erano gli stati d’animo, i pensieri, le sensazioni e le emozioni provate allora. Cosa ci ha spinto a sbagliare. In cosa abbiamo sbagliato o tradito i nostri principi. Qual’è stata la nostra vera debolezza…

Imparare a perdonarsi

Certo, farcela da soli è molto difficile ma possiamo farci aiutare da uno psicologo e scoprire insieme che questo tipo di abilità nel ragionamento può trasformare l’errore in un’opportunità di crescita. Possiamo imparare a capitalizzare sugli errori e migliorare nel tempo anche il nostro carattere.

Credere in determinati valori, avere fede in un Dio Buono che Ama e Perdona è fonte di speranza e di fiducia nella vita.  Accettare le proprie fragilità e perdonarsi è cruciale per riuscire a rialzarsi e ad avere fiducia in se stessi e nella propria capacità, anche di fare il bene e il giusto.

Ma nulla si improvvisa; dietro una persona serena e in pace con se stessa c’è un grande lavoro interiore di costruzione di sé, del proprio modo di pensare, di agire e di amare.

La psicologia può aiutare a riconoscere ed elaborare il senso di colpa, svelare le proprie e altrui debolezze, dipendenze, rigidità di vedute. Può rappresentare una via per attenuare difetti, recuperare la propria umanità più piena favorendo una maggiore coerenza con i propri principi e valori etici.

Susanna Primavera