”Il vento soffia dove vuole” è l’ultimo romanzo di Susanna Tamaro e possiamo definirlo un inno alla vita, una sorta di parabola che scorre dal dolore fino ad arrivare alla serenità, grazie ai due “incontri“ di Chiara, uno con la bella persona che è suo marito e l’altro con la fede.
Si tratta di un romanzo “epistolare“ nel quale la protagonista scrive alle tre persone importanti della sua vita: la figlia adottiva, la figlia naturale, il marito.
Molto è stato scritto su questo romanzo, sull’afflato interiore, sulla ricerca della salvezza personale e della felicità, ma nessuno ha pensato o voluto sottolineare un tema che invece è sotteso in filigrana nell’arco delle 235 pagine: l’aborto.
Aborto a 18 anni
Non pochi passaggi infatti sono dedicati alla sofferenza che una donna, appunto la protagonista, prova per l’aborto che ha vissuto all’età di 18 anni.
La modalità con la quale la famosa scrittrice decide di affrontare una tematica così impegnativa e così divisiva, è veramente straordinaria: se è evidente l’impostazione di carattere scientifico data alla realtà della vita umana, tale dal momento del concepimento, e l’impossibilità di negare una verità indiscutibile, è anche vero che la protagonista non cerca scuse e giustificazioni, ma riconosce e analizza fin nel profondo il ripiegamento su se stessa, l’annichilimento derivato da una scelta risultata poi così devastante e distruttiva da condizionarla per più di 10 anni.
Condizionarla in che modo? Non si parla soltanto di serenità interiore perduta , ma di pesanti conseguenze da un punto di vista psicologico e anche fisico.
Nell’arco del romanzo in quasi 30 pagine si riportano riflessioni o riferimenti legati alla interruzione volontaria di gravidanza, credo si possa ritenere quasi un record (sono una grande estimatrice dell’autrice triestina, ho letto tutti i romanzi, i racconti, gli scritti di Susanna Tamaro: qualche accenno si era notato anche in altre sue opere ma mai così insistente come ne “Il vento soffia dove vuole”).
Il dolore di chi abortisce
Quanto viene descritto nel libro corrisponde alla cruda realtà che, ogni giorno, noi volontari delle associazioni pro life riscontriamo nelle persone che hanno abortito.
Riporto alcuni passaggi, i più significativi, rimandando e consigliando la lettura integrale del romanzo, che rappresenta perfettamente le angosce e gli errori che una ragazza di diciott’anni può compiere in maniera un po’ superficiale, senza riflettere, senza prevedere il carico di sofferenza da portarsi dietro. Nel libro il dolore si trasfigura per la protagonista fino alla soluzione positiva, Chiara infatti riuscirà ad elaborare il lutto ( nella realtà, noi del Movimento lo sappiamo bene, purtroppo non sempre è così).
L’incontro con il “ bello” della scuola
La storia inizia banalmente con l’incontro con il “bello e impossibile” della scuola: Cesare, il capo dei rivoluzionari rossi , “un maschio alfa“ impegnato politicamente a sinistra, che improvvisamente si accorge di una ragazza apparentemente insignificante e certamente insicura, la fragile preda che è Chiara: “quella fragilità per me altro non era che un confortevole bozzolo, non sapevo che esistono insetti capaci di perforare il suo spessore con un aculeo e divorarti lentamente da viva e così, quando me ne sono accorta, era ormai troppo tardi per riuscire a mettermi in salvo“. L’amore nasce da una parte soltanto, in Chiara, forse si tratta di desiderio di essere notata: “mi aveva guardato e mi aveva visto. Esistevo dunque, e questa esistenza era racchiusa nella reciprocità dei nostri sguardi“.
Solo che, l’esistenza di cui Chiara parla non è affatto reciproca e, soprattutto, manca in lei la consapevolezza profonda del fatto di non contare nulla per Cesare, con il quale comunque avvia una relazione sessuale. La biologia non mente: “anche il mio corpo stava iniziando a comunicarmi un qualche tipo di cambiamento. Era suggestione o realtà?“. Il test in farmacia inesorabilmente conferma. “Era una notizia bellissima o un incubo? O entrambe le cose? “
“ Non preoccuparti, ti aiuto io a risolvere il problema”
Quando Chiara riferisce a Cesare di essere incinta la risposta del “ maschio” (siamo nel 1976) è la stessa che spesso sentiamo raccontare ancora oggi, dalle donne che ci contattano: “non ti preoccupare… Ti aiuto io a risolvere il problema“. La legge di aborto ancora non era in vigore ma Cesare“ aveva trovato un medico compiacente amico di suo padre che, dietro lauto compenso, aveva accettato di ricoverarmi in una clinica privata“. Sembra di leggere i resoconti degli anni precedenti l’approvazione della legge 194/78.( leggi qui l’articolo sull’aborto e sulla legge )
Così, in totale solitudine, la giovane Chiara abortisce.
Il “ problema” risolto? Tutto finito e dimenticato? Assolutamente no.
A questo punto “Sono entrata in una sorta di ibernazione interiore“.… Lo studio era diventato la ghiacciaia in cui mi rinchiudevo. Nulla mi interessava di quello che studiavo, desideravo una sola cosa: tenere lontano qualsiasi altro pensiero“.
Si tratta di una sorta di autodifesa, la negazione del problema “capace di rovinare le nostre vite… Nel 1976 iniziavano le lotte per la legalizzazione dell’aborto, nella convinzione che si sarebbe ottenuta la libertà di decidere come potevano fare i maschi. Avere il pancione non doveva essere più un obbligo ma una scelta”.
Vent’anni dopo, il tempo passa ma il dolore resta
Trascorsi quasi vent’anni dall’evento, Chiara fa una prima rivelazione sull’aborto, nella lettera rivolta alla figlia adottiva, di origine indiana, riconoscendo che la madre della ragazza non aveva deciso di risolvere il “problema” come lei stessa aveva invece fatto. Alisha, la sua splendida figlia, era il miracolo, la prova vivente della scelta diversa.
Poi, nella lettera rivolta alla figlia Ginevra, Chiara fa un’affermazione quasi banale ma purtroppo del tutto veritiera: “l’aborto è ormai così diffuso da non essere considerato altro se non dal fastidio di togliersi un dente”.
Quando la gravidanza non arriva, perché…
La scelta di adottare, per Chiara e Davide, era stata determinata dalla difficoltà di ottenere la gravidanza da parte della protagonista. Sembrava non ci fossero problemi di sorta ma in realtà una “annessite“, cioè un’infezione seguita all’aborto clandestino, aveva causato un’infiammazione tale da influire sulla fertilità. Questa era la “motivazione scientifica“ dell’infertilità. Ma c’era una “prolungata e misteriosa sterilità legata a una frase relegata da anni nella mia memoria“. Al termine dell’intervento abortivo il dottore le aveva detto: “ho impiegato molto più tempo del solito perché non voleva andarsene“…”Chi non voleva andarsene? “ Stava parlando dell’embrione? “Non voler fare qualcosa presuppone una volontà? “
Un grumo di cellule può avere una volontà?
La scienza dice che il rapporto embrione/madre è talmente stretto da condizionare ormonalmente la madre stessa. Non so per certo se Susanna Tamaro sia al corrente di queste verità ormai acclarate dalla scienza, ma quello che scrive nel romanzo possiede una perfetta corrispondenza con quanto accade ad alcune donne che cercano per anni una gravidanza senza riuscire a ottenerla.“Ecco, credo che questo seme occulto e silente abbia lavorato per anni in me e che, senza che me ne rendessi conto, mi avesse convinto, o meglio avesse convinto i miei organi riproduttivi, che nessun altro avrebbe mai voluto abitare in un luogo da cui qualcuno era stato costretto a sloggiare“.
La conoscenza che Tamaro ha delle piante e degli insetti la porta a trovare una corrispondenza con quanto accade in natura: “quando un albero viene bruscamente divelto dal terreno, le sue radici lasciano in eredità un potente messaggio chimico. Questo è un luogo dove non conviene vivere“.
Dare un nome al proprio bambino
Nella lettera a Davide, il marito, Chiara confessa, dopo anni di silenzio, finalmente, l’aborto, raccontando anche il passato, quello con il bello della scuola e quello di P.: ed ecco ritroviamo la modalità terapeutica che oggi si propone a chi ha abortito, quella di dare un nome al bambino al quale si è rinunciato. Come già aveva raccontato nella lettera alla figlia, Chiara ripete con pochi cambiamenti la storia nella lettera al marito. È a questo punto che la scrittrice sfodera la propria competenza del mondo vegetale, istituendo uno splendido paragone tra il seme della vita che sta crescendo in una donna e il minuscolo seme nascosto“ da una morbida e compatta nuvola di fibra vegetale: il seme stava lì in mezzo come un piccolo re seduto su un trono.“
Una similitudine potente che non può non rinviarci all’immagine del piccolo bimbo, che dovrebbe essere il re della sua mamma.
Ancora una volta Chiara sviscera in profondità il dolore ricordando le parole del medico e come avessero scavato in profondità nel suo cuore: “… L’utero adesso è vuoto”.… Vuoto vuoto vuoto… Il vuoto e io eravamo ormai due entità inscindibili. Era quell’abisso interiore, l’aver ospitato la vita e non averlo capito, a privarmi di qualsiasi progettualità sul futuro.“
Interessante la sovrapposizione tra il momento dell’ecografia per la figlia di Chiara e Davide e il momento dell’ecografia per il bambino non nato di Chiara: “il dottore non me lo aveva mai fatto vedere: non aveva nomi, non aveva un volto, nessuno lo stava aspettando né aveva comprato un completino per lui: P. era solo un problema e doveva sparire per permettere alle nostre vite di tornare quelle di sempre“.
L’ecografia rivela la natura del bimbo
Sarà nel momento dell’ecografia della figlia Ginevra che verranno cancellati tutti i residui di ipocrisia che, incredibilmente, ancora oggi vengono spacciati come verità alle donne che abortiscono, alle quali viene raccontato che l’embrione non sarebbe un essere umano, ma solo un grumo di cellule. E invece no, Chiara si rende conto che P. e la nuova bimba sono due persone che si stanno formando nel ventre di una donna; il battito del cuore è lo stesso .
La soluzione al dolore e al senso di vuoto, arriva finalmente in Chiara solo dopo aver trovato il coraggio di aprirsi con un sacerdote incontrato “ per caso” su una panchina. La confessione permette di prendere consapevolezza di quanto fatto, per potersi perdonare.
Quante volte noi, volontarie per la vita, abbiamo sentito i sacerdoti raccontarci di donne che confessano e confessano e confessano, sempre lo stesso peccato di aborto, senza riuscire a farsene una ragione.“… Il figlio mio e di C. aveva abbandonato la dimensione di P., il problema, e si era trasformato in P., una persona, il mio caro, sfortunato e troppo tardi amato bambino”.
La parabola del dolore si conclude con il battesimo di Chiara, nell’abbraccio dell’amore più grande che esista.
Vittoria Criscuolo
Se sei in difficoltà per la gravidanza, se hai abortito e stai soffrendo, scrivi sulla chat del Movimento per la vita di Varese.
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