E’ come partire volontario per il fronte in guerra: Cremona
E’ partito con la sua auto lunedì 16 marzo da Varese per Cremona, rispondendo all’appello della Regione Lombardia di medici volontari che andassero a dare una mano negli ospedali più colpiti e in situazione critica per l’emergenza Covid-19. Massimo Cannavò, 50 anni, medico chirurgo presso l’Ospedale di Cittiglio, ci pensa, ci ripensa e poi decide; dentro di sé, un imperativo categorico ad andare in soccorso di chi ha bisogno, una volta di più. Ma a casa i familiari, pur comprendendolo, sono preoccupati per lui che dovrà andare a Cremona per una settimana, rischiando il contagio in una delle prime zone rosse. Altri due medici rispondono all’appello e vengono inviati a Bergamo e a Seriate.
Il dottor Cannavò mi racconta la sua vicenda di “volontario” e mi spiega che quando giunge a destinazione, seguendo le indicazioni del navigatore, si rende ancor più lucidamente conto del pericolo che sta correndo. Cremona lo accoglie deserta in un silenzio inquietante e appena varcata la soglia dell’ospedale viene fermato subito, bloccato per essere disinfettato… l’impatto è psicologicamente, umanamente scioccante. Aveva lasciato una Varese abbastanza tranquilla, non ancora immersa nell’emergenza, e ora si ritrovava in un Pronto Soccorso surreale in cui ogni 5, 10 minuti arrivava urlando un’ambulanza. Le persone ricoverate non guardavano, come capita di solito, il cellulare, non si lamentavano delle lunghe ore di attesa, magari di 10 o 12 ore. Stavano seduti “immobili”, come catatonici, terrorizzati in un silenzio tale da far paura. A vedere tutta quella povera gente, egli confessa di aver provato un senso di straniamento, nonostante i suoi 50 anni e tutta la sua bella esperienza professionale e di vita.
Immerso nel Pronto Soccorso incontra un ragazzo contagiato che ha solo 18 anni
Ma il suo umano smarrimento dura poco, nel giro di qualche ora si inserisce nella struttura tra nuovi colleghi, preparati e ricchi di umanità, che lo introducono nell’ organizzazione spiegandogli il funzionamento di ogni cosa. Essendo tutti iperprotetti e infagottati, il segno privilegiato di riconoscimento sono gli occhi: riconoscersi dallo sguardo! Tutto il personale è in verità esausto, devastato e rimasto dimezzato dai contagi. Il dottor Cannavò capisce di avere una marcia in più di energia e la spende subito attivandosi su tutti i fronti finché l’atmosfera si trasforma e avvilimento, stanchezza e paura lasciano il posto allo spirito di gruppo, alla solidarietà, alla speranza. Gli capita di veder morire i ricoverati da soli, senza il conforto di un parente accanto, e a lui rimane da dare soltanto un po’ di ossigeno e una carezza.
Di lì a poco, l’incontro con Mattia che ha commosso tutti. Il ragazzo è stato contagiato e al medico varesino, di origine siciliana, si stringe il cuore anche perché aveva i polmoni compromessi all’ 80%; si guardano intensamente, entrambi hanno paura ma il medico lo rassicura, gli sta vicino e di notte prega per lui. Ad un certo punto, dopo un’altra TAC, la situazione precipita e rivela tutto il pericolo di vita che Mattia sta correndo; il medico chiede prontamente aiuto agli anestesisti. A 18 anni si è maggiorenni, perciò Mattia non ha bisogno di chiedere un permesso ai suoi per essere intubato ma il medico lo guarda commosso e gli spiega la gravità della situazione: avrebbe potuto non risvegliarsi… forse era meglio avvisare la mamma. Mattia entra in coma farmacologico per due settimane, in un primo tempo continua a peggiorare, poi è sempre grave, infine stabile…
Angelo Custode in corsia
Per il 19 marzo, la festa del papà, Carlo, figlio undicenne del dottor Cannavò, ha preparato un bigliettino scritto a mano in corsivo, con dei bei cuoricini rossi e con le parole che il suo sentimento d’amore gli ha suggerito. Il suo papà è così “grande”, così speciale e per la festa non ci sarà… Al bambino viene un’idea e ripone il bigliettino nella valigia del papà, prima della sua partenza, così la leggerà comunque. La mamma di Mattia scrive al piccolo Carlo: “Tuo papà era lontano da te in quei giorni perché era andato a fare l’Angelo Custode a mio figlio Mattia.” Quante emozioni affettive nel giro di due settimane per il dottor Cannavò, che confessa di essersi sentito ricompensato per i sacrifici fatti proprio da quelle parole di una mamma.
Il medico rientra a Varese e riprende servizio all’ospedale di Cittiglio ma continua a seguire la salute di Mattia, telefona e chiede come sta, rimane agganciato affettivamente al ragazzo, che le attente cure degli anestesisti riusciranno a salvare. Quando viene a sapere che Mattia è stato estubato, è un’emozione incredibile! Dentro di sé pensa ad un miracolo. Viene a sapere quando verrà dimesso, la mamma di Mattia vuole rivederlo e anche i colleghi lo vogliono lì, sul posto. Il dottore riparte per Cremona ed è tutto un susseguirsi di contatti, di ringraziamenti. Anche il Direttore Generale dell’ASST di Cremona lo ringrazia ufficialmente il 9 aprile. Seguono articoli sui giornali, ne parla il TG1, Studio Aperto e Pomeriggio 5: Mattia è tornato a casa guarito, giusto in tempo per prepararsi alla maturità, sicuramente con uno spirito nuovo, da “risorto” alla vita.
Domenica 12 aprile è stato ricordato Giuseppe Moscati, il medico di Benevento, canonizzato nel 1987. A lui affidiamo Mattia e il dottor Cannavò con le loro famiglie, e tutti i malati di Coronavirus che ancora lottano tra la vita e la morte. A lui affidiamo la nostre belle città italiane, là dove quasi ogni famiglia ha perso qualcuno.
Il nostro “grazie” speciale va a Massimo Cannavò e a tutti i medici che si spendono con tanti sacrifici, anche oltre il dovuto, per la comune passione per la salute e la vita di tutti. Un ringraziamento accompagnato dalla musica di Lena Yokoyama con il suo violino sul tetto dell’Ospedale Maggiore di Cremona.
Susanna Primavera