Cuore a Cuore: il contributo dei CAV (Centri di Aiuto alla Vita) a sostegno delle donne vittime di violenza.

Ce ne parla la dott. ssa Donata Magnoni Responsabile del Centro di Aiuto alla Vita di Varese

Nel CAV vi capita di incontrare anche donne vittime di violenza?

Nel corso dell’ attività quotidiana dei Centri di Aiuto alla Vita, nelle storie delle donne che incontriamo è sempre più frequente riscontrare un’ombra diffusa, pervasiva, inquinante di prevaricazione nei confronti della donna, nei suoi rapporti sociali, familiari e di coppia.

Noi abbiamo il privilegio di incontrare e accompagnare donne in un momento di grande fragilità. La gravidanza e i primi mesi di vita di un figlio sono davvero un’esperienza unica nella vita di una donna e lasciano un’impronta profonda nella sua identità. L’ambiente circostante influenza lo stato psichico della donna, come quando si ritrova sola per la mancanza di un rapporto di coppia stabile e di un reale sostegno, oppure per il fatto di ritrovarsi in una rete parentale e sociale fragile o inesistente. Spesso vive situazioni di insicurezza e di dipendenza economica, presupposti per un bisogno di aiuto spesso inascoltato e, già solo per questo, segno di indifferenza e, in ultima analisi, di violenza.

Come vi è possibile aiutare queste donne?

I  casi di violenza fisica riconosciuta, agita il più delle volte dal marito o compagno di vita, sono sicuramente una parte minoritaria di un fenomeno molto più diffuso. Essi richiedono competenze diversificate e specifiche per affrontarne gli aspetti psicologici, legali, sociali e debbono per poter essere gestiti da operatori qualificati. Il nostro è un prezioso ruolo di sostegno e di accompagnamento della donna nel momento estremamente difficile di  presa di coscienza della propria condizione di vittima di una violenza ingiustificata, a volte pericolosamente estesa anche ai propri figli, e che difficilmente potrà scomparire per la sola forza delle promesse di colui che la perpetra.

E’ questo il momento della denuncia, del rendere pubblica una sofferenza celata e nascosta anche a se stessi. Interiormente è accompagnata da un senso di frustrazione per il fallimento del proprio progetto di coppia, da un senso di colpa che porta quasi a giustificare la violenza stessa, un comportamento ingiustificabile. Inoltre, la preoccupazione per il futuro che appare loro più incerto lontano dal proprio compagno, anche se violento. È una scelta che richiede coraggio e non raramente comporta l’allontanamento temporaneo dall’ambiente e dai legami sociali e parentali per la messa in sicurezza di sé e dei propri figli.

Qual’è il vostro compito?

Il nostro compito è accompagnare in maniera efficace verso quelle strutture sia pubbliche che del privato sociale che operano in questo ambito, vincere la diffidenza verso interventi che vengono percepiti come giudicanti nei loro confronti, cercare di mantenere aperto un canale di comunicazione e di fiducia per tempi quasi sempre lunghi. E’ un contributo al lavoro di ricostruzione di una percezione di sé positiva, adeguata al ruolo di donna e di madre, autonoma e consapevole, presupposto indispensabile per ricostruire un progetto di vita appagante.

Indispensabile è informarci e formarci a lavorare in rete con gli enti e le associazioni competenti in questo ambito per poter offrire alle nostre mamme quell’aiuto personale di condivisione del loro problema e sostenerle nelle scelte che sono chiamate a compiere.

Quale mentalità si nasconde dietro alle varie forme di violenza maschile nella coppia?

Accanto a queste situazioni abbiamo una forma di violenza più sfumata ma molto pervasiva perché legata ad una cultura di subalternità e possesso della donna nel rapporto di coppia, nella gerarchia familiare. Vi è poi un atteggiamento di opportunismo che impronta la relazione nella coppia ad una  labilità e fragilità delle motivazioni che fanno da base ad un progetto di vita familiare. Sono le  situazioni che leggiamo nelle storie che le nostre mamme ci portano e che facilmente svelano momenti di solitudine, disorientamento, sofferenza  e anche di disperazione.

E’ questa la situazione in cui la capacità di valorizzare la loro presenza e la loro storia, il loro ruolo nel nucleo familiare, le loro risorse personali può trasformare l’ascolto e la solidarietà in quel “prendersi cura”, essere lì in quel momento solo per loro, non certo con la bacchetta magica che può risolvere ogni problema ma per mettere in campo tutte le nostre risorse per condividere, accompagnare, stare accanto, offrire punti di vista anche diversi dai loro, ma mai giudicanti. Questo il presupposto indispensabile per far scaturire tra volontaria e mamma una relazione interpersonale fiduciosa, efficace, di reale sostegno e, pertanto, significativa per entrambe.

E  quando vi sono pressioni esterne affinché la donna si orienti verso l’aborto, che fare?

C’è in effetti un aspetto della violenza nei confronti della donna che si nasconde nel momento di accogliere una nuova vita che cresce in lei. I casi, fortunatamente rari nella nostra società, di gravidanze frutto di stupro richiedono un’attenzione speciale ed un profondo rispetto per chi, violata nella sua più profonda identità, sente che quella ingiustificabile violenza coinvolge anche un’altra vittima innocente e la cui fragilità è affidata alla sua sola tutela. Il nostro ascoltare e accompagnare può essere un aiuto prezioso.

Più frequente è accogliere casi in cui la difesa della libertà della donna si svela come il pretesto da parte di altri: il coniuge, il compagno, la famiglia, il gruppo di appartenenza, per indurre la mamma ad una scelta che non sente propria.

Ma ben più diffusa è la violenza che usa l’omissione e la menzogna per nascondere e negare la preziosità incommensurabile di una vita nascente, il suo esistere, la sua realtà immanente, la sua dignità di persona e che semplifica le procedure fino al limite della banalizzazione, per poter presentare la scelta tra la morte e la vita come una scelta tra realtà equivalenti, e a ben vedere, senza alcuna considerazione per le conseguenze per la donna.

La cultura della società non sembra aiutare la donna nel momento più difficile, cosa ne pensa?

Infatti, in questo contesto culturale si inseriscono anche le recenti norme che consentono la pratica dell’IVG con metodo farmacologico entro la 9 settimana in ambiente non ospedaliero: in pratica ricacciando nel più totale nascondimento una donna a espletare l’aborto procurato nella privata solitudine di un bagno, il più delle volte ignara delle reali modalità dell’evento, come molte testimonianze ci confermano, e che vedono concludersi con il gesto più evidente di scarto una scelta sofferta. E su una linea molto simile sono anche i protocolli per il trattamento dell’aborto spontaneo, ritenuto, precoce: codificato in una serie di rinvii e passaggi che non prevedono attenzione alcuna al dramma che la mamma sta vivendo.

A noi volontarie dei CAV è chiesto di ascoltare, non giudicare, accogliere e sostenere donne ferite che dalla nostra condivisione possano trarre concreto sostegno per scelte coraggiose e aperte alla Vita.

 

CURRICULUM VITAE DELLA DOTT. DONATA MAGNONI

Donatella Magnoni

Via Dandolo 6 21100 Varese (Varese) ITALIA

Tel. 0332.283084

Tel cell. 346 1880949

E-mail: cav-responsabile@vitavarese.org

Medico Pediatra,  fino a dicembre 2012  Pediatra di Famiglia ASL 14 Distretto di Varese, dal maggio 1990 ad oggi Volontaria  Movimento e Centro Aiuto alla Vita Varese onlus,  dal 2008 Vicepresidente, Responsabile CAV Varese.

Dal 2006 ad oggi collabora con il Circolo Didattico 7  e successivamente  Istituto Comprensivo 4 Anna Frank in Varese in qualità di Coordinatore e  Relatore in corsi di formazione per Genitori e Personale Docente su tematiche educazionali.