Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura 2012, critica “da dentro” il suo Paese

E’ aperto davanti a me il libro di Mo Yan Le rane, e dalle sue pagine concitate e appassionate mi sembra di sentire veramente quel gracidare di rane che viene descritto come un canto sommesso che si confonde con il pianto e il lamento dei bimbi non nati per volontà del regime di Mao, al tempo della Politica del Figlio Unico. La storia è ambientata nella regione di Gaomi (Shandong), un po’ più a nord della città di Wuhan (regione Huebei), dove ha avuto origine l’epidemia di Coronavirus. E’ un romanzo del 2009 e rappresenta una critica al regime comunista attraverso le sue contraddizioni, tra il desiderio di fare il bene del Paese e contemporaneamente frustrare il sogno dei giovani nel loro naturale volere aver figli e fare famiglia. Il titolo è un gioco di parole tra i caratteri cinesi della parola “rana” e quelli di “bambino” che si pronunciano quasi nello stesso modo.

La politica del Figlio Unico, contro natura

E’ la storia di Wan Xin, l’ostetrica che ha visto nascere quasi tutti gli abitanti del proprio paese. E’ stimata, rispettata e benvoluta da tutti fino a quando, a metà degli anni 60, il Partito la incarica di dirigere il programma di controllo delle nascite:

“Voi giovani dovete obbedire al partito, seguire le sue direttive, non perdervi per vie traverse e vicoli ciechi. La pianificazione delle nascite è una politica nazionale, una questione di primaria importanza. Il segretario indicherà la via e l’intero partito si mobiliterà. Seguiamo gli esempi positivi, potenziamo la ricerca scientifica. Eleviamo il livello tecnico, mettiamo in pratica i provvedimenti. Questo è un movimento di massa, un obiettivo da perseguire con tenacia “Una coppia, un bambino” è una politica ferrea, che rimarrà inalterata per cinquant’anni. Se non teniamo sotto controllo la crescita della popolazione, sarà la fine della Cina…”

Chi racconta in prima persona tutta la vicenda è il nipote Wan Xiapao:

“Due anni più tardi, il ventitreesimo giorno del dodicesimo mese del calendario lunare… nacque nostra figlia. Mio cugino Wu Guan ci riportò a casa dal centro sanitario della comune accomodandoci nel rimorchio del suo minitrattore. Prima che ci congedassimo, mia zia mi disse: – Ho messo la spirale a tua moglie -. Wan Renmei sollevò la sciarpa che le copriva la testa e, furiosa, la interrogò:  – Come ha potuto, senza il mio permesso? – La zia le rimise a posto la sciarpa, dicendo: – Nipote mia, copriti bene, stai attenta a non prendere freddo. Mettere la spirale dopo il parto è un ordine tassativo del comitato per la pianificazione delle nascite. E’ nata una femmina: se fossi la moglie di un contadino, dopo otto anni potresti togliertela e fare un altro figlio, ma hai sposato mio nipote, e lui è un militare. Le regole dell’esercito sono più severe di quelle delle amministrazioni locali, una gravidanza in soprannumero e ti sbattono fuori, e te ne torni a lavorare nei campi. Perciò togliti dalla testa di fare un altro figlio in questa vita. Essere la moglie di un ufficiale ha il suo prezzo. Wang Renmei scoppiò in singhiozzi.”

Il desiderio di Vita è più grande di qualunque ideologia

Ma Wan Renmei si farà togliere la spirale di nascosto; rimarrà incinta e non volendo abortire, dopo aver minacciato di suicidarsi, fuggirà disperata. Allora il marito si metterà a cercarla:

“Mia figlia, stremata dal pianto, si era addormentata. Portandola in braccio, vagavo sulla strada maestra. Ero angosciato, non riuscivo a farmene una ragione. Due anni prima, era arrivata l’elettricità, e adesso dal palo di cemento dietro al comitato di villaggio accanto ai due altoparlanti c’era appesa una lampada… Lasciamole fare questo figlio, zia, – dissi affranto. – Rinuncio alla tessera del partito e anche al lavoro… Lei colpì il tavolo con una manata così violenta che fece spargere l’acqua della tazza che mi stava davanti.  – Sei un buono a nulla! – esclamò…”

Alla fine la giovane Wan Renmei con il cuore a pezzi cederà, accetterà di sottoporsi all’aborto ad opera della zia. Purtroppo morirà per emorragia, in un mare di sangue. Le tragedie si susseguono perché non tutte le giovani donne si rassegnano a questa politica. Ed è un’escalation di forzature, di violenze e di assurdità.

Molti anni dopo, tornando a casa stanca e omai disfatta da questo compito mortifero, lei che un tempo aveva voluto e difeso la vita nascente ed ora era diventata come un boia senz’anima, una notte si smarrisce in una palude; ed è lì che il gracidare delle rane le ricorda il pianto dei bambini mai nati, e i corpi gelidi degli animali, come piccoli feti abortiti, la circondano, la ricoprono, spingendola a confrontarsi con il suo senso di colpa e ad ascoltare finalmente la sua anima.

Nel silenzio della città minacciata dal Coronavirus

Lo splendido romanzo è finito. Nel silenzio ovattato della mia città “sospesa”, in attesa di sconfiggere il famoso virus che imperversa, mi soffermo a pensare a questo canto lamentoso di bimbi cinesi mai nati, che, nella mia immaginazione, danno la mano a tutti i bimbi mai nati sacrificati all’aborto, oggi la prima causa di morte nel mondo.

Susanna Primavera