Dopo un aborto la disperazione può assalire, ci si può sentire svuotati di tutte le energie, della voglia di vivere. A chi rivolgersi? donne e uomini, con chi trovano il coraggio di parlare, di esprimere le ferite della propria anima per cercare la guarigione? L’espressione del teologo Paul Tillich “ il coraggio della disperazione” esemplifica bene la tipologia di persone che si rivolge al progetto Fede e Terapia.
L’ispirazione per la realizzazione di questo progetto scaturisce in don Maurizio Gagliardini, già coinvolto nel l’associazione Difendere la vita con Maria, che si occupa del seppellimento di bambini non nati, spesso frutto di aborti, spontanei e volontari. Don Maurizio, certo con il sostegno di Mons. Livetti prima, poi del Vescovo Mons. Brambilla, capisce che quelle coppie che accompagna ai “ funeralini” dei piccoli abortiti trovano un po’ di sollievo al loro dolore dal rito della sepoltura. Il dare un nome a quel bimbo, non voluto, rifiutato talvolta, può attenuare quell’angoscia che accompagnerà i genitori per il resto della propria vita.
Ma gli altri? I milioni di donne che hanno abortito, dal 1978, anno di entrata in vigore in Italia della legge 194? Dove sono, chi le aiuta, chi le accoglie? E i padri? Frustrati nel proprio ruolo di sostegno della famiglia? Soffrono?
Tutti i grandi Pontefici del XX secolo, testimoni di un assoluto rispetto per la vita nascente, offrono proposte e riflessioni per tentare soluzioni al grande autogenocidio che l’uomo di oggi sta operando.
Illuminante, tra i Vescovi, innanzitutto, il pensiero del Cardinal Elio Sgreccia, in merito al “ kairós”, il tempo opportuno che è adesso:” La pastorale della vita è un’opera urgente e grandiosa.(…) Il tempo propizio, quello biblico, è tale anche quando le cose vanno male, la casa brucia, le persone care muoiono. Propizio vuol dire che è indilazionabile l’intervento del Signore”. (Elio Sgreccia, Avvenire, 15 settembre 2011).
Ma come non ricordare l’appello di San Giovanni Paolo II “ per mettere in atto una grande strategia a favore della vita (…) per costruire una nuova cultura della vita”? ( EV. Vitae, 95).
Così si concretizza il progetto Fede e Terapia, che cerca di trovare un rimedio al dolore post-aborto: prevede infatti la disponibilità di volontarie appositamente formate per rispondere al telefono, alle chiamate di donne che abbiano interrotto la gravidanza e sentano profondamente la disperazione, la rabbia, l’angoscia per il loro gesto. Un numero verde (800 969 878) attivo h/24, in tutta Italia, che nel giro di due anni ha visto crescere, almeno all’inizio, in modo esponenziale, l’utenza.
Il 70/100 delle telefonate arriva da donne, di tutte le età e condizioni sociali, che hanno visto la locandina di FeT nella propria parrocchia ( per il momento il veicolo privilegiato della comunicazione resta la chiesa) e osano chiamare. La tipologia è la più varia: mamme che chiamano per le figlie, nonne per le nipoti, figlie per le mamme, zie e amiche per conoscenti, tutte hanno una storia da raccontare. E questa è la chiave del progetto: ad un lato del telefono c’è chi parla, all’altro lato c’è chi ascolta. Senza giudicare, senza consigliare, ma cercando di capire quale sia la parola migliore proprio per quella donna che ha trovato il coraggio di chiamare.
I vari casi, tutti importanti per significato, hanno fatto “ incontrare” una donna, ormai nonna, che aveva abortito 30 anni prima e non ne aveva mai parlato con nessuno. Il timore del rimprovero, la vergogna del gesto, avevano portato a seppellire nel cuore quel bambino mai dimenticato.
Una mamma telefona per “ gridare” il dolore del proprio aborto, anni prima, ma anche per testimoniare il dolore per l’aborto da poco effettuato dalla figlia: una specie di “ tradizione” dello stesso tipo di sofferenza.
La sorpresa poi sono le telefonate degli uomini: chi si dispera per non essere stato in grado di proteggere la propria famiglia, chi si scaglia contro la legge 194, che attribuisce alla madre, e a lei sola, il diritto di sopprimere la piccola vita, anche all’insaputa del papà, anche contro il volere del papà.
La casistica esperienziale è diversificata: una donna racconta di aver subito violenza da piccola e, di conseguenza, di essere stata obbligata dalla propria madre ad abortire. Da allora aveva interrotto la gravidanza 12 volte.
Le volontarie che rispondono al telefono hanno solo il compito di ascoltare, per poi indirizzare all’esperto, sia esso il sacerdote, lo psicologo, il consulente o il medico.
La volontà delle persone di uscire dal tunnel della sofferenza diventa indispensabile per trovare un sollievo al dolore, ma non basta per risolvere: il perdono, prima per se stessi, poi per il bambino rifiutato, poi per chi ha spinto ad abortire, permetterà di vedere la luce. Nell’epoca della Misericordia, inaugurata da Papa Francesco, resta indispensabile capire che si può cadere in ginocchio, oppressi dal peccato, ma ci si può rialzare perché “ Dio non si stanca mai di perdonare chi gli chiede di essere perdonato”.
L’aborto resta un “ gravissimo delitto”, “ l’uccisione diretta di un innocente” ( Papa Pio XI) e in molti altri documenti del Magistero, come in Evangelium vitae al cap. 62, dove dichiara che “ l’aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente” e si tratta di dottrina immutabile.
Si può però trovare un conforto: San Giovanni Paolo II indica chiaramente quale sia la via del perdono, al n.99 di EV.vitae:” Non lasciatevi prendere , però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità.. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Vi accorgerete che nulla è perduto e potrete chiedere perdono anche al vostro bambino, che ora vive nel Signore. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita”. Si tratta, per così dire, della “ magna charta “ del progetto Fede e Terapia.
Il fil rouge che lega tutte le telefonate delle persone che hanno fatto l’esperienza dell’aborto è uno: “ grazie” per essere state ascoltate. Per chi opera nel volontariato FeT si tratta del riconoscimento più grande mai sperato.
Se la disperazione ti assale, se il dolore per un aborto non ti abbandona, chiama con fiducia il numero verde 800 969 878 e da tutta Italia una voce amica ti risponderà.
Se invece vuoi parlare con qualcuno di persona, contatta il Movimento e Centro di aiuto alla vita Varese tramite la chat che trovi sul sito www.Vitavarese.org