I docenti sono troppo severi? I genitori sono troppo permissivi? Il problema educativo si presenta in tutta la sua forza, come ben dice il filosofo Umberto Galimberti, in un articolo dal titolo “Che sbaglio difendere i figli dai Prof. severi”!nel quale si rilevano le difficoltà evidenti ormai a tutti nella scuola italiana: si parla spesso di “responsabilità degli insegnanti”, attribuendo a loro, protagonisti del percorso di apprendimento, il fallimento degli esiti scolastici dei ragazzi, mentre in questo intervento Galimberti punta il dito contro i genitori.
Docenti severi e genitori permissivi: l’importanza dell’autorevolezza
In sostanza, la critica ruota intorno al principio di “auctoritas”, autorevolezza, indispensabile perchè possa instaurarsi una vera relazione educativa tra docenti e discenti: “(…)Parlare male degli insegnanti davanti a loro, contestarli nelle riunioni di classe, ha come unico effetto non quello di rassicurare i bambini dell’amore dei loro genitori, ma di disorientarli, inducendo in loro quella sfiducia di base, per cui non sanno più di chi fidarsi. Il risultato è la demotivazione e il disimpegno.”
D’altronde, qualunque insegnante sa che uno dei principali problemi, a scuola, oggi, è la mancanza di studio e di applicazione nei ragazzi: interrotti e distratti da mille attrattive, come potrebbero mai essere invogliati a destinare la maggior parte del loro tempo a declinazioni e teoremi? Sarebbe indispensabile una buona “iniezione” di amor proprio, di rispetto per l’istituzione scolastica e per i docenti in particolare, per riuscire a creare quella passione che smuove le montagne e distoglie dal cellulare…A chi compete insegnare l’amore per il “bello” interiore, che può risvegliare nei giovani come se fosse una fiaccola, la passione?
“I genitori abbiano la speranza più bella verso i propri figli”
Che i genitori abbiano il compito educativo principale è evidente, dai tempi dei tempi: ma sono capaci di educare al bello e al buono? Sentiamo cosa dice Quintiliano, (I sec. d. C.) maestro di retorica, in apertura del suo “Institutio oratoria”:
“(…)[1] Nato un figlio dunque il padre concepisca su di lui dapprima la speranza più bella: così diventerà più educato dall’inizio. Infatti è falso il lamento, che a pochissimi uomini sia concesso il potere di assimilare le cose che sono tramandate, che i più in verità perdono fatica e tempo per lentezza d’ingegno. Infatti troverai invece molti sia inclini nel pensare sia pronti ad imparare. (…)” (…) La prova, il fatto che la speranza di molti spicca nei fanciulli: quando questa muore con l’età, è chiaro che non la natura è scomparsa ma la cultura.”
Cioè è scomparsa la dedizione. Andrebbe imputata ai docenti? O ai genitori, che non nutrono la speranza nelle capacità dei propri figli, ma preferiscono piuttosto scegliere scorciatoie?
“La scuola maestra di vita”: l’alleanza educativa
Ricorrere a psicologi, dietologi, pedagogisti, conselour, nella scuola, in modo da creare una sorta di “cordone difensivo” intorno ai ragazzi, quasi a guisa di protezione dai pericolosissimi docenti esigenti, non ha contribuito assolutamente a migliorare i risultati degli studenti a scuola, anzi. Sempre Galimberti fa notare “(…) Non a caso siamo agli ultimi posti non solo in Europa, quanto a competenze letterarie e scientifiche. Ma questo non sembra preoccupare i genitori a cui importa solo la promozione, il diploma, la laurea, a prescindere da quanta cultura è stata acquisita dai loro figli che poi vengono anche premiati per i risultati raggiunti. “
“Schola magistra vitae”, la scuola maestra di vita (invece di “historia magistra vitae” come dice Cicerone) : vale ancora, questa massima? Il docente ha ancora il “potere” di educare il suo studente ad imparare, o gli è stato sottratto?
Si può insegnare l’importanza del sacrificio, della “fatica”, per ottenere i risultati auspicati nella propria vita: serve, però, un’alleanza strategica tra genitori – meno permissivi e docenti – giustamente esigenti.