Mancano solo due minuti all’autodistruzione! Così sentenziano nel Doomstay Clock, l’orologio dell’Apocalisse, gli scienziati del Bulletin of the atomic scientists il pericolo di un collasso del mondo. Questo orologio simbolico, ideato in risposta ai primi test nucleari, vuole oggi indicare quanto grande sia il pericolo di un’autodistruzione dell’uomo nel pianeta terra. Infatti, sono ancora troppe le guerre, troppe le armi terribili che vengono sistematicamente prodotte e vendute con enormi ricavi: “Nei 1.652 miliardi di fatturato mondiale delle armi nel 2015, USA e Russia insieme rappresentano il 58% degli affari commerciali dell’industria bellica; seguono la Cina, la Francia e la Germania e l’Italia. Il paese di santi, navigatori e poeti, di “italiani brava gente” nel quinquennio 2011-2015 si piazza all’8° posto nella classifica dei paesi esportatori.”
E’ come se tutti noi (ma in special modo i “grandi della terra” e tutti coloro che prendono le decisioni più importanti, i legislatori o i politici…) vivessimo spensieratamente in una realtà anormale, senza renderci conto di trovarci ad un passo dalla fine. In tal senso, non ci sono soltanto le guerre con la proliferazione di armi nucleari, le tensioni geopolitiche (In Afganistan la guerra continua e in questo solo mese di gennaio 2019 sono state uccise 53 persone; è notizia recente che in un raid aereo, nel distretto di Sangin, sia stata colpita una casa e un’intera famiglia sacrificata con 16 persone uccise, tra cui 10 bambini). Ci sono anche i cambiamenti climatici con lo scioglimento dei ghiacci e la perdita di fiducia nel matrimonio e nella famiglia, la crisi cioè della principale cellula alla base della società. Inoltre si parla di una nalfabetismo di ritorno in quanto l’ignoranza dilaga (nell’ultimo concorso a cattedra per professori, il 60% di candidati sono stati bocciati alle prove scritte) nonostante l’aumento incredibile delle informazioni a disposizione di tutti. Che dire infine dell’ingiustizia in merito alla povertà, alla miseria se una persona su 10 nel mondo vive in condizioni di povertà estrema?
Nel primo capitolo dell’enciclica Evangelium Vitae intitolato “Le attuali minacce alla vita umana“, Papa Giovanni Paolo II indica come sfondo della crisi moderna della società, la crisi della cultura che ingenera scetticismo sui fondamenti stessi del sapere e dell’etica e rende sempre più difficile cogliere con chiarezza il senso dell’uomo, dei suoi diritti e dei suoi doveri. Tra la perdita dei valori, una sorta di “eclissi” del valore della vita stessa. Egli parla inoltre di una struttura di peccato, caratterizzata dall’imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera “cultura di morte“.
A questa cultura individualistica si ricollega la diffusione dell’aborto e della contraccezione sicura e accessibile a tutti, oggetto di investimento di somme ingenti nella messa a punto di farmaci che rendano possibile l’uccisione del feto nel grembo materno, senza la necessità di ricorrere all’aiuto del medico. La “congiura contro la vita” di cui parla Papa Wojtyla in questa Enciclica “non coinvolge solo le singole persone nei loro rapporti individuali, familiari o di gruppo, ma va ben oltre, sino ad intaccare e stravolgere, a livello mondiale, i rapporti tra i popoli e gli Stati.
Marina Corradi, giornalista di Avvenire, questo venerdì 25 gennaio 2019, ci ha regalato un articolo dal titolo “Sì, la paura ci rende pazzi” in cui ci ricorda che soltanto negli ultimi giorni ci sono stati 117 annegati nel Mediterraneo in un clima politico di chiusura allo straniero che porta a tenere a distanza chi, in fuga dalla miseria e dalla guerra, cerca la salvezza in mare. La “paura che ci rende pazzi” è quella descritta da Papa Francesco in volo verso Panama, parlando del muro del Messico, un muro che è come un monumento all'”invasione”, cioè l’ossessione dell’Occidente. Ma la giornalista ci ricorda anche che la pietà non è finita nel cuore dell’uomo perchè quando a Torre Melissa, in Calabria, quindici giorni fa, una barca piena di migranti curdi si è ribaltata a poca distanza dalla costa, i cittadini si sono buttati in mare per salvarli e ci sono riusciti riportando a terra 51 persone, fra cui donne e 4 bambini, di cui uno appena nato.
Quando si nasce in uno Stato con una legge come la legge 194 del 1978 che consente l’aborto entro i primi tre mesi di gravidanza, per libera scelta della madre, la donna percepisce fin da giovane, attraverso la legge, un messaggio sottinteso più o meno di questo tipo: tu sei libera, il tuo corpo è una cosa che ti appartiene e che puoi usare come vuoi e se non vuoi rimanere incinta poiché hai diritto fin da giovane a fare sesso per il tuo piacere, devi usare la contraccezione e quando la contraccezione non ha funzionato, perché può capitare che ci si dimentichi di prendere la pillola regolarmente, e tu non vuoi il bambino perché non era in programma, niente paura, il rimedio c’è: puoi sempre abortire. Quindi aborto e contraccezione sono intimamente connessi.
Ciò che manca vistosamente nella crescita delle nuove generazioni è l’educazione alla sessualità che non significa “educare alla contraccezione” per giungere ad una maternità/paternità responsabile cioè “scelta” ; occorre invece disperatamente “educare all’affettività” che è ben altra cosa perché la visione dell’uomo alla base è completamente diversa. Educare alla contraccezione per evitare l’aborto non funziona infatti non è così che gli aborti diminuiscono; porre l’attenzione sull’aspetto genitale e meccanico della sessualità, come in genere viene fatto nei corsi di educazione sessuale, è riduttivo perché la sessualità riguarda tutta la persona: il significato di essere un uomo o una donna, il senso dell’amore. Se poi si racconta che la sessualità ha come scopo principalmente il piacere, essa trasforma le persone in cose, in oggetti, cioè in reciproci strumenti di piacere e in tal modo non c’è più rispetto né per la relazione né per la dignità dell’altro. Bisognerebbe invece proporre i Metodi Naturali (che non sono più quelli delle nostre nonne) per cominciare innanzitutto a conoscere il proprio corpo, i propri ritmi senza alterare chimicamente i delicati equilibri interiori. Con l’assunzione della pillola non si fa nulla per conoscere la propria fertilità, anzi ci si limita ad alterarla e basta. Mentre essere donna vuol dire anche prendere consapevolezza dei propri ritmi biologici e imparare a conoscersi per meglio vivere nella propria pelle.
Ma la maternità non è una malattia e il figlio in grembo non è un problema da evitare per cui serva una prevenzione, come se si trattasse di un virus pericoloso. Le politiche antinatalistiche fanno paura perché hanno un sapore autoritario, manipolativo e per niente rispettoso della dignità e della libertà delle persone. La maternità come l’amore è sinonimo di accoglienza, di speranza, di futuro. La pietà si nutre di sensibilità, di generosità e di altruismo perciò se è vero, come ci dice la psicologia che “chi dona riceve” (e a questo noi del volontariato possiamo aggiungere che spesso si riceve più di quanto si abbia donato), chi dona la vita con amore vero non solo si realizza nella propria umanità ma dona anche al mondo un nuovo futuro di speranza e di pace. Infatti, non possiamo proclamare solennemente i diritti inviolabili della persona e il valore della vita se poi permettiamo di uccidere deliberatamente il più indifeso degli esseri umani che è l’embrione e il feto che tutti noi siamo stati.
Solo ritornando al buon senso di saggezza e di cuore che vuole che uccidere non sia lecito per nessuno e che il rispetto sia dovuto a tutti gli uomini, verranno tempi migliori di speranza perché fondati sui valori della dignità e della pace. Solo allora la lancetta dell’Orologio dell’Apocalisse si allontanerà drasticamente dalla fine.
Susanna Primavera