Eutanasia è parola greca che si traduce letteralmente “ buona morte”, ma nella nostra società il termine conosce una sorta di slittamento di significato, alludendo alle pratiche che portano a sopprimere un essere vivo in condizioni ritenute, per motivi diversi, intollerabili. Di recente è stato pubblicato, in merito, il “ Piccolo lessico di fine vita” dalla Pontifica Accademia per la Vita, per determinare delle linee guida sul suicidio assistito e sull’eutanasia.
Non è però oggetto della nostra riflessione né il libretto edito da Mons. Paglia né cosa sia giusto fare di fronte ad una persona che soffre, anche se, evidentemente, per noi la vita umana è intangibile fino all’ultimo respiro.
Vorremmo invece sottolineare il labile confine tra felicità, vita e morte, brevemente, partendo dagli antichi per giungere fino al “ paradosso” cristiano. Cercheremo di dimostrare, così, che il termine “ eutanasia” appartiene all’anti lingua e alla manipolazione del pensiero che ne consegue, come ci insegna magistralmente George Orwell nel romanzo distopico 1984.
Il mondo greco : i poeti Omero e Sofocle
Per gli antichi il pensiero della morte fu un grave problema, come dimostra già Omero, nel sublime incontro tra Achille e Odisseo, nell’11 libro dell’Odissea, la νέκυια , il viaggio nel regno dei morti:” Non mi lodare la morte, splendido Odisseo. Preferirei essere uno schiavo sulla terra piuttosto che un re nel mondo dell’Ade”.
Analogamente anche il tragediografo Sofocle, che nello stupendo coro dell’Antigone canta “ Molte sono le cose meravigliose e nulla è più meraviglioso dell’uomo” ammette però che “ solo dalla morte non troverà scampo”.
Il mondo pagano concepiva l’ aldilà come popolato da forze occulte e minacciose, e la letteratura interpreta questo terrore del dopo morte con trasporto e sgomento.
Il mondo greco: i filosofi Socrate e Platone
Alcuni filosofi greci, però, già secoli prima dell’avvento del Cristianesimo, avevano cercato di rivalutare la morte, non solo come riflessione personale, ma soprattutto come insegnamento per una vita felice. Socrate già aveva ipotizzato l’esistenza di un mondo dopo la morte, popolato dalle anime di uomini illustri con i quali sarebbe stato possibile riunirsi. Platone aveva immaginato nel mito di Er il giusto castigo degli empi e la felicità dei giusti dopo la morte.
Il mondo latino: Virgilio e Seneca
Nel mondo latino Seneca, ormai vecchio, guarda con serenità all’età conclusiva della vita:” La più felice è l’età che già declina, ma ancora non cade a precipizio, ma anche quella che sta sull’orlo del tetto credo abbia i suoi piaceri (…). I frutti sono più dolci quando stanno per finire”. ( Epistulae ad Lucilium 12). In questa stessa epistola 12 Seneca aveva citato il poeta Virgilio nell’Eneide:” Ho vissuto e ho percorso il cammino che la fortuna mi aveva assegnato”.
Sembra di intravvedere una sorta di spiraglio, rispetto a poeti e scrittori greci, anche perché, evidentemente, sia Seneca sia Virgilio, vivendo tra il I secolo avanti Cristo e il primo dopo, hanno potuto maturare una via verso la serenità che ai pagani greci era, per forza di cose, ignota.
La paura della morte è naturale
È naturale avere paura della morte, quello che risulta difficile da accettare è tentare di ostracizzare la paura eliminando la vita, come si fa con l’eutanasia. Eutanasia è sempre la soppressione di una persona viva, e questa pratica ha effetti sull’individuo stesso, ma soprattutto ha riflessi culturali sulla società enormi. Si rischia di trasmettere il messaggio, infatti, che la sofferenza e il dolore sono inutili e quindi, “ per il bene del malato”, lo si sopprime, apparentemente insinuando il suggerimento che questo è un modo giusto per non avere paura della morte, anzi, non c’è da aver paura della morte, tanto dopo la vita non c’è nulla per cui valga la pena sperare. A questo proposito, sembra di tornare al tempo degli “dei falsi e bugiardi” dei primi poeti.
La rivoluzione del messaggio di Cristo
Nemmeno gli Ebrei erano riusciti a dare una dimensione positiva alla morte, intesa come “l’ultima nemica”.
La vera rivoluzione arriva con il messaggio di Cristo.
Il cristianesimo offre la promessa certa della vittoria della vita sulla morte, grazie al sacrificio di Cristo sulla croce, mediante la potenza dell’atto sovrano di Dio (come già era avvenuto con la creazione). E la resurrezione è segno del superamento del limite umano e della concezione di terrore della morte, vivo negli incubi degli esseri viventi dai tempi dei tempi.
Anzi, la sofferenza e il dolore che ogni uomo patisce nel corso della vita trovano la vera “ soluzione”, il vero significato, nella speranza della ricompensa nei cieli, della quale parla Matteo nelle Beatitudini.
Come non ricordare il passo del martirio dei sette fratelli Maccabei, l’esemplare forza della madre, che incita l’ultimo dei suoi figli rimasti in vita, a non cedere alle lusinghe del re, a non rinunciare alla testimonianza, in vista della vera vita dopo la morte?
Possiamo individuare un radicale cambiamento di prospettiva operato nel cuore dell’uomo dal messaggio evangelico. La felicità non consiste nel bene terreno in questa vita, ma in quella dell’ aldilà dove abita la felicità suprema. La morte non può fare paura e i dolori in vita possono diventare strumento di salvezza.
E forse questo può spiegare, almeno in parte, perché “ eutanasia” è termine fuorviante: noi cristiani possiamo guardare, anche nella sofferenza, già adesso, alla speranza dopo la morte.
Vittoria Criscuolo