La trasmissione di Radio Maria alla quale facciamo riferimento si intitola “ Tavolo pro life”, come i nostri ascoltatori sanno l’obiettivo principale è parlare sempre di tematiche legate alla vita, alla famiglia, all’aborto. Oggi, anche alla luce di tutto quello che sta succedendo ai nostri adolescenti, privati di guide e preda di attrattive pericolose che talvolta li portano a scelte terribili, dettate anche dagli impulsi del momento, vorremmo parlare dell’importanza fondamentale dell’educazione e del ruolo determinante che la scuola può avere nella crescita emotiva e affettiva dei nostri giovani.
Il ruolo indispensabile della famiglia nell’ educazione al bene
Dato per certo che il ruolo predominante nel campo educativo spetta alla famiglia, considerato poi che altre agenzie “educative“ spesso hanno il sopravvento sul cuore dei ragazzi ( ci riferiamo in particolare al web), può la scuola influire in modo determinante per insegnare il bene? Secondo noi sì, godiamo di un panorama letterario incredibile che davvero potrebbe fare la differenza. Abbiamo già trattato in un’altra trasmissione, sempre su Radio Maria, dell’amore come ce lo spiegano gli autori della letteratura greca e Dante ( si può leggere qui l’intervento) .
I Promessi Sposi e il “ sugo di tutta la storia”
Oggi vorremmo parlare del ruolo della famiglia, nell’educazione al bene, servendoci del nostro grandissimo Alessandro Manzoni e della sua opera “I promessi sposi“. Il romanzo si può spiegare, a scuola, come un’opera di letteratura; si possono individuare le figure retoriche e trattarlo dal punto di vista narratologico ; si può usare per capire come imparare a scrivere in lingua italiana ricca e corretta.
Ma forse non è questo il motivo vero per il quale il nostro scrittore aveva pensato alla storia dei due promessi sposi. Scopriamolo insieme ricordandoci che Manzoni aveva una fede che smuoveva le montagne, e che i “promessi sposi” non si possono leggere se non ricordando l’impronta forte che li permea dalla prima parola fino all’ultima.
La suggestione per questa chiave di lettura viene dopo aver ospitato a Varese, nel chiostro dei frati Cappuccini, la mostra organizzata da “Fides vita“ intitolata (https://www.fidesvita.org/le-nostre-mostre/ “ Il sugo di tutta la storia“ e dedicata proprio al romanzo “ I promessi sposi“. È oggi graditissima ospite la professoressa Barbara Falgiani, curatrice della mostra, che ringraziamo per aver accettato l’ invito.
La vita personale di Alessandro Manzoni
1) Inizierei parlando della vita del nostro grande Alessandro Manzoni, di come ci possa insegnare una grande virtù, la pazienza, la capacità di accogliere il dolore che ci colpisce nella nostra esistenza.
Innanzitutto, sono grata per questa bella possibilità che mi è stata offerta, a partire dalla bella introduzione a questo articolo che già ci fa cogliere tutta l’attualità educativa del Romanzo manzoniano, spesso un po’ “subito” a scuola come qualcosa di distaccato dalla vita, nostra, figuriamoci dei nostri ragazzi. Vivendo degli incontri di approfondimento con degli studenti delle scuole secondarie, nell’educazione che ricevo e sono chiamata a vivere io stessa nel mio cammino ecclesiale di Fides Vita ad uno sguardo alla realtà tutta intera, anche l’incontro con un autore, scrittore, poeta (ma anche un pittore o un musicista), è per mettere sempre a tema non una questione intellettuale o culturale, ma come diceva Leopardi, il misterio dell’esser nostro… È la possibilità di avere a cuore il “guazzabuglio” del cuore umano – come Manzoni stesso scriverà in un tratto del suo Romanzo –, di avere un interesse vero per sé stessi. La possibilità di avvicinarsi, in questo caso, alla storia di due ragazzi (che potrebbero essere una qualsiasi coppia di giovani fidanzati, sposi di oggi) e di altri uomini e donne presenti nel Romanzo è occasione di incontrare chi con la propria umanità mostra la bellezza di una fede che c’è e che c’entra con la vita, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia (come proprio la formula del matrimonio dice), dentro quel quotidiano con cui ciascuno ha che fare.
Il dolore della morte vissuto nella fede
Rispetto alla domanda che mi è stata posta non si può non dire che tutta la vita di Manzoni, porta i segni di un uomo decisamente vivo sul senso della vita, a partire proprio dalle vicende della sua famiglia dove vive l’amore, la paternità (sarà padre di dieci figli) e dove vive profondamente anche il dolore, che di fatto proverà tutta la sua vita… Basti pensare che solo due dei dieci figli sopravvivranno, e, nel contempo, moriranno anche l’amata moglie e la seconda compagna di vita che egli sposerà. Tutte queste sue vicende umane passano al vaglio della sua conversione che vediamo rinnovarsi in lui pazientemente, continuamente… che non è mai data per acquisita, sempre nel pieno coinvolgimento di una ragione per nulla ingabbiata in schemi razionalistici, ma sempre tutta spalancata al Mistero. Questa sua fede, continuamente messa alla prova, è ciò che sosterrà Manzoni dentro ogni momento. Scriverà in una lettera a Diodata Saluzzo Roero: “Questa fede a volte ripudiata, contraddetta col pensiero, coi discorsi, colla condotta che gli fu restituita (come lui stesso dice) per un eccesso di misericordia, e che governa la sua vita, il suo pensiero, i suoi sentimenti”. Ai parenti o ai figli che gli domandavano di questo radicale cambiamento avvenuto proprio nel rapporto con sua Moglie Enrichetta Blondel, diceva: “…ringrazia Dio che ebbe pietà di me: quel Dio che si rivelò a san Paolo sulla via di Damasco”, oppure: “È stata la grazia di Dio. Mio caro, è stata la grazia di Dio”, senza aggiungere altro. E così anche tutta la sua produzione letteraria (dagli Inni sacri alle Tragedie fino al Romanzo), di circostanza in circostanza, di momento in momento, nella grazia di una pazienza donata (non è mai per sforzo nostro una “virtù” ma sempre dono della Grazia) si snoda la sua vita che è evidentemente riflessa nel romanzo de “I Promessi Sposi”.
2) Il personaggio che più di tutti, secondo me, ci educa al valore della famiglia è Lucia.
Condivido assolutamente. Nel lavoro vissuto per la mostra, Lucia è stata una delle scoperte più belle ed è stato un grande aiuto a comprendere quanto lei sia decisiva in tutta la vicenda. Di solito ce la fanno passare un po’ come irrilevante, arrendevole, facile al pianto, in fondo lei è una ragazza che non dovrebbe avere più di vent’anni, eppure credo possa essere paragonabile a quelle donne – spesso madri – che incontriamo nella santità quotidiana: capace di aspettare, di offrire, di perdonare, salda nella certezza di Colui in cui confida dentro tutte le circostanze e le difficoltà che le si pongono innanzi, che diventano sempre un’occasione di maturazione e la rendono persino risoluta di fronte all’apparente forza e spavalderia di chi ha di fronte. È una donna del popolo, semplice, pura d’animo, innamorata di Renzo, fragile e dolce… eppure, è al contempo una donna forte perché dal di dentro di tutto ciò che le accade, riconosce la reale presenza della Provvidenza.
È quella che porta la luce nelle tenebre – come già dice il suo nome -, è l’unica che riesce ad aprire una crepa nel cuore dell’Innominato e a seminare nel suo animo il germe di una speranza che poi gli permetterà di iniziare il suo cammino di conversione; è cosciente di essere “povera creatura” e contemporaneamente, è sicura della presenza di Cristo che mai la abbandona, e questo la rende come un “gigante” di fronte a questo uomo malvagio. Per lei il male non è irreversibile, e il Bene, accolto anche in uno spiraglio di vera libertà, vince su tutto ciò che ci vince.
Addio Monti, i “pensieri” di Lucia
È detto proprio in un tratto dell’Addio ai Monti in quell’affermazione: “Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de’ suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”.
Quello che di più di lei mi ha colpito sta proprio al termine del Romanzo quando di fatto si racconta di Renzo e Lucia sposi. Sì, i due giovani si sposano, ma il loro matrimonio non suggella un lieto fine del tipo: “…e vissero felice e contenti” a mo’ di fiaba; hanno dei figli, hanno un lavoro, una casa… C’è un dialogo semplice e importantissimo, che fa emergerequalcosa che sta proprio al cuore della loro famiglia, come dovrebbe essere in ciascuna: proprio dopo aver ricevuto quanto potevano desiderare, dopo due anni dall’inizio della storia così movimentata, percepiscono un’inquietudine che mostra proprio l’irriducibilità del desiderio del cuore che è anelito solo l’Infinito e non di qualcosa che ci immaginiamo noi o desideriamo secondo un nostro pensiero.
Quando Renzo, proprio raccontando ai figli delle loro vicende, dirà quello che ha imparato lui in modo un po’ presuntuoso, Lucia fa emergere qualcosa che non va. Ma come? Adesso che andava “tutto bene”. Scrive Manzoni che Lucia “non n’era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa”… Lei capisce che il fondamento del loro amore, della loro storia, della loro famiglia non può essere in una forza loro, comprende che il punto non è che ci sia l’eliminazione dei problemi, dei “guai”, o la promessa della semplificazione della sofferenza, del dolore ma che c’è uno sguardo nuovo su se stessi e sulla realtà tutta, che c’è un modo nuovo, vero, pieno di vivere tutto, che dona anche la forza di accettazione, di attraversamento, di affronto di ogni cosa che accade: potrei usare l’espressione, è il “centuplo quaggiù”, in questo al di qua, dentro la vita quotidiana.
Scriverà proprio Manzoni al termine del cap. XXXVIII: “Dopo un lungo dibattere e cercare insieme” (anche questo apparente piccolo particolare è bellissimo… da sposi cercano insieme la Verità…) “conclusero che i guai quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili (bellissimo questa parola che usa Manzoni… utili… che ti serve a vivere tutto ma proprio tutto) per una vita migliore” cioè una vita vera, piena. Ed è proprio questo il sugo di tutta la storia e il fondamento della loro vita, della loro famiglia.
3) Diversi sono i personaggi che ci insegnano l’onestà intellettuale, anche nei rapporti, nelle relazioni personali: fra Cristoforo e, per antitesi, Don Abbondio.
Mi viene da dire che questa “onestà intellettuale” è semplicemente la trasparenza di ciò che uno vive, cioè non qualcosa da fare o da vivere come sforzo o da dire a parole, ma proprio semplicemente la trasparenza umana di ciò che Cristo opera e fa splendere dentro la vita anche attraverso la miseria. Infatti, è per questa esperienza qui che fra Cristoforo nel Romanzo è un punto di riferimento per Renzo e Lucia (e non solo). E’ per ciò che questi ragazzi vedono in lui – che non è uno sforzo o una capacità ma è la sorpresa di un frutto che lui stesso si ritrova nel suo continuo cammino umano che vive per sé e insieme a loro – che si ritrovano a non poter fare a meno di cercarlo, di affidarsi a lui, di domandare, di seguire.
Quando la posizione, la tensione a vivere tutto non è questa, ci si ritrova, nel carcere delle proprie immagini intoccabili o di alibi giustificatori di una libertà che non vuole mettersi in gioco e si vive come vive don Abbondio (che comunque, se siamo leali, ci riguarda eccome!), dove la questione non è certamente una questione di fragilità o di incapacità o una disonestà maliziosa ma è proprio una questione di chiusura, di obiezione preconcetta a qualsiasi accadimento che possa emergere dalla realtà e dove ci si ritrova allora ad opporre scusanti e alibi della debolezza o di condizioni sfavorevoli, il non capire, le difficoltà di affronto delle circostanze. Credo che la questione dell’ “onestà intellettuale”, attraverso quanto ci mostrano questi due personaggi, stia tutta qui.
4) Pensando al ruolo educativo per un giovane, mi chiedo quanto contino gli incontri. Qual è il potere dei genitori nell’orientare le amicizie dei figli, selezionandole ovviamente non dal punto di vista del ceto o del censo ma dal punto di vista dei valori. Nel romanzo ci sono, in riferimento agli incontri, delle occasioni dirimenti per il bene e per il male: Gertrude/Egidio; Lucia/innominato; e delle situazioni invece nelle quali nessuno ha il potere di far nulla: donna Prassede/LUCIA; donRodrigo/padre Cristoforo.
Quello che dici degli incontri è decisivo, per un giovane come per ciascun uomo. La differenza la fa sempre e proprio un incontro. Potremmo dire che è il metodo che Gesù vive con i suoi e con ciascuno di noi. È proprio lui che nell’Incarnazione realizza questo “metodo”: Dio si fa Uomo, Dio si fa compagnia di Uomo ad ogni istante dell’uomo. Solo una Vita può rispondere alla vita. Solo una Presenza di carne può rispondere alla mia, alla nostra vita di carne. “Lui viene incontro a noi e lo fa attraverso uomini e donne nei quali Egli traspare”, come disse Benedetto XVI.
Io sono stata incontrata così dentro un momento della mia vita persa e lontana dalla Chiesa durante la mia adolescenza e lo sono ancora oggi (guai se non fosse così e rimanesse qualcosa del passato)! Un incontro imprevisto, donatomi come un bel giorno, con cui mi sono imbattuta quasi più di trent’anni fa con chi ha iniziato il cammino di Fides Vita che è Nicolino Pompei – che continua ancora oggi ad essere quella trasparenza di Cristo nella carne, nella vita, come dicevamo prima – che ha permesso al mio cuore di essere chiarito in tutta la sua domanda di felicità e di essere “sfidato”, in modo positivo, a verificare la verità del cristianesimo dentro tutto, dall’amicizia ai rapporti, dalle circostanze quotidiane a quelle più particolari e quindi di essere attratto continuamente a Chi è in tutto e tutti.
L’incontro vale più dei discorsi e delle parole
Non sarà mai un discorso, un consiglio (che sono pure da dare per carità) che convincerà un ragazzo a fare delle scelte nella verità ma sempre e solo la testimonianza tangibile di un’esperienza impareggiabile che innanzitutto vive in noi e che genera un’attrattiva in un altro. Solo se si vede qualcuno che vive questa novità , questa impareggiabilità umana nel modo di affrontare la vita, le circostanze di tutti, nel segno di una bellezza, di una speranza, di una gioia, di una letizia dentro tutto, si può aprire una crepa dentro cui la presenza di Cristo può entrare… Ecco l’incontro di Lucia e l’Innominato, ancor prima col Nibbio, che, colpito da quella ragazza che ha semplicemente vissuto intensamente, umanamente, veramente quel momento del rapimento, si è trovato invaso dalla compassione che ha poi colpito a sua volta l’Innominato e il cammino che conosciamo (così come il vociare festoso di quella “canaglia” fatta di gente diversa tra loro che mostrava una gioia “impossibile” mentre si dirigeva dal Cardinale Borromeo).
Se non c’è questo stupore, questa apertura, ci sarà altro che prenderà il sopravvento, facendoci ritrovare preda della nostra miseria, del nostro modo di vedere le cose.
Questo vale per ciascuno, per un ragazzo, per me, per un don Rodrigo o una Gertrude del nostro tempo.
“Solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù”
Scrive Nicolino in un brano di un suo approfondimento: “Ma i tuoi figli o i tuoi parrocchiani, i giovani o le persone che incontri di cosa hanno bisogno? Loro – come me e te – hanno bisogno sempre di qualcuno da guardare come generato continuamente alla vita. Hanno bisogno di guardare in me e te l’Avvenimento vivo e determinante ora la mia e la tua vita. Hanno bisogno di incontrare uno sguardo umano a cui il cuore non può resistere per quanto rispondente e corrispondente alla originale esigenza di felicità. Non hanno bisogno di una bocca che sappia discorrere sulla vita o di parole astratte che la descrivano. Ma di avere davanti a loro un’esperienza umana viva, libera ed intelligente, che li aiuti a vivere il dinamismo della ragione, della libertà, dell’amore, dentro una strada. Una strada, un metodo, una continua educazione, innanzitutto attuali e vivi in noi, e quindi nella possibilità di essere verificati come i più adeguati a saper affrontare e vivere il drammatico rapporto con la realtà tutta” (Nicolino Pompei, La bocca non sa dire, né la parola esprimere: solo chi lo prova può credere cosa sia amare Gesù).
Lo posso sottoscrivere perché è accaduto e accade a me ancora oggi. Ad esempio, lo dico anche nella viva esperienza vissuta con dei ragazzi delle medie e delle superiori in una vacanza con questa “sfida” positiva al fondo, fatta proprio di amicizia, quotidianità vissuta insieme, dove è emerso di tutto della loro umanità dalla gioia alla fatica più grande… E l’esperienza è quella: guardare uno più felice di te, che in una minima fessura del cuore, fa entrare la luce, attrae e fa vivere un’esperienza che travolge e cambia, rende felici… senza “fare nulla” perché di fatto fa tutto Lui!
Grazie a Barbara Falgiani per questa appassionata spiegazione dei valori educativi dei Promessi Sposi.
Per ascoltare la trasmissione di Radio Maria clicca qui.
Vittoria Criscuolo
Inviato da iPad