Le tecniche di fecondazione assistita in Italia registrano il triplo delle morti della donna rispetto al Regno Unito
Nella nostra epoca e nella società contemporanea, globale, la donna ha ormai acquisito un’immagine definita, riconducibile in gran parte all’impronta femminista originata dalla rivoluzione del 1968. Il progresso scientifico ha senz’altro contribuito all’ emancipazione, prima con la diffusione della contraccezione ormonale, poi con lo sviluppo di tecniche di fecondazione assistita, che hanno completato, per così dire, la separazione dei due aspetti dell’atto sessuale. La pillola e i mezzi contraccettivi hanno privilegiato il momento, “ ludico” del rapporto, escludendo la procreazione, mentre la fecondazione artificiale ha cancellato la necessità del rapporto sessuale per ottenere la gravidanza.
La generosità della donna e i rischi che corre
Però. C’è un però: quanto pesa, in termini umani, personali, emotivi, su di lei, la scelta di accollarsi sempre e comunque ogni responsabilità che attiene alla sessualità? Contraccezione, fecondazione assistita, aborto… sempre tutto sulle spalle della donna. Le conseguenze di certe scelte possono risultare anche fatali, stando ai numeri, impressionanti, che emergono dal comunicato stampa dell’ AIGOC ( associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici) che commenta la relazione del Ministero sulla applicazione della legge 40, tecniche di fecondazione extracorporea.( leggi qui il nostro articolo in merito)
Embrioni congelati oppure non impiantati: numeri enormi
Certo, potremmo soffermarci sui numeri spaventosi di embrioni che fluttuano nell’azoto liquido, in attesa di essere impiantati nel ventre della madre. Oppure potremmo pensare a quanti embrioni perdono la vita perché non riescono ad annidarsi in utero.
Invece questa volta vogliamo fermarci a riflettere sulla donna, sui rischi che essa corre per cercare di diventare madre. Rischi di vita, naturalmente, la cui responsabilità è in gran parte da addebitarsi al legislatore, che non pone limiti di età e di buona salute per l’accesso alle tecniche. Riportiamo qui un passaggio illuminante in merito, mentre è possibile comunque leggere il testo integrale del comunicato.
Mortalità femminile in Italia quasi tripla rispetto al Regno Unito: 11,3% contro il 4%
(…)
Nella relazione viene omessa la notizia riportata nel Primo Rapporto ItOSS. Sorveglianza della Mortalità Materna negli anni 2013-2017, pubblicato nel 2019 dall’Istituto Superiore della Sanitò, nel quale a pagina 19 si legge “Oltre all’obesità un’altra condizione frequente tra le donne decedute è il ricorso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). L’11,3% delle morti materne (12/106) riguarda donne che hanno concepito mediante tecniche di PMA (6 ICSI, 5 FIVET e 1 tecnica non nota). La percentuale di morti materne associate a PMA rilevata dal Sistema di sorveglianza del Regno Unito è pari al 4%, molto più bassa di quella italiana. La proporzione di gravidanze ottenute mediante tecniche di PMA è invece analoga nei due Paesi, pari a circa il 2% (5, 7, 8) e pertanto non giustifica la diversità nella frequenza degli esiti. L’unica differenza che sembra associabile alla minore proporzione di morti materne nel Regno Unito riguarda la norma vigente in quel Paese in base alla quale il Servizio sanitario pubblico non offre PMA alle donne con IMC ≥ 30 Kg/m2 e/o età ≥ 42 anni. Controllando tali caratteristiche nelle donne decedute in Italia emerge che 7/12 hanno IMC ≥ 30Kg/m2 e 4/12 un’età ≥ 42 anni.
È opportuno riconsiderare i criteri di accesso alle tecniche di PMA
Alla luce di questi dati riteniamo opportuno considerare anche nel nostro Paese una possibile regolamentazione dei criteri di accesso alle tecniche di PMA nel Servizio sanitario pubblico. La revisione dei casi segnalati alla sorveglianza ItOSS ha infatti evidenziato alcune criticità quali, per esempio, due donne che avevano concepito mediante PMA e che sono decedute per tromboembolia, una dopo un aborto spontaneo in gravidanza gemellare a 42 anni di età e con IMC = 39 Kg/m2 e una seconda deceduta alla 19esima settimana di gravidanza all’età di 43 anni e IMC = 31 Kg/m2. Il 55,4% delle donne decedute è nullipara e 10 delle 106 gravidanze esitate in morte materna sono multiple, 8 delle quali a seguito di concepimenti da PMA.”
La domanda è: perché? La donna viene sempre messa al corrente dei rischi che corre? Il legislatore, in Italia, è interessato al benessere e alla vita di chi si sottopone agli estenuanti cicli di stimolazione ormonale? Oppure in nome di un’ideologia ottusa e retriva acconsente a tutto ciò che la società detta, senza interrogarsi sul senso reale delle norme che “diluviano” sull’universo femminile?
Sarebbe ora di riconsiderare la “ questione femminile” pensando al benessere psicofisico della donna.