E’ vero che l’invidia domina il mondo?

In effetti, ad ascoltare le indagini delle università spagnole Universidad Carlos III di Madrid e di quelle di Barcelona, Rovira i Virgili e Saragozza in merito, sembra che gli invidiosi siano proprio tanti. Da questi studi riportati dall’ANSA, il 90% della popolazione può rientrare in 4 tipologie di personalità: ottimisti 20%, pessimisti 20%, fiduciosi 20%, invidiosi 30% (e un 10% difficili da classificare).

L’invidia è tristezza per la gloria altrui (Tommaso D’Aquino)

San Tommaso inserisce l’invidia tra i Sette Vizi Capitali: “L’invidia è tristezza per la gloria altrui, in quanto è intesa come un certo male, ne consegue che l’uomo per invidia tende a fare disordinatamente alcune cose contro il prossimo; e in base a ciò l’invidia è un vizio capitale” e di fronte alla rappresentazione umana dell’invidia di Giotto rimaniamo senza parole…

Brutta, malefica e vecchia è l’invidia, dalla sua bocca “velenosa” esce un serpente che le si ritorce contro e l’acceca. Spaventose sono le enormi orecchie di chi vuole tutto sapere degli altri per poterli poi criticare. Avara e aggressiva è l’invidia che brucia (in) se stessa, cioè si rode dentro con grande sofferenza.

Invidiare, un sentimento che tutti ahimé, prima o poi, finiamo per conoscere, segue all’ammirazione dell’altro per qualche sua dote particolare oppure per quello che possiede. I nostri occhi si riempiono della bellezza altrui e ci fanno desiderare per noi quello che abbiamo visto nell’altro. Tra le cose più invidiate vi è l’altrui bellezza, successo, serenità, bontà, cultura, bravura…

L’invidia è una confessione d’inferiorità (H. De Balzac)

Ma se l’altro ha oppure è più di noi, significa che noi abbiamo oppure siamo meno di lui o di lei. Questo ci fa sentire “inferiori”, ci umilia, ci dispera e ci fa nutrire verso l’altro ulteriori sentimenti negativi e ostili come rabbia e odio. Lo critichiamo, lo sminuiamo, cerchiamo parole per  metterlo sotto una cattiva luce e per “distruggerne” la bellezza, il valore. I pettegolezzi e le critiche ingiuste riempiono l’aria che respiriamo e le pagine dei giornali che leggiamo ogni giorno.

In questo modo, noi speriamo inconsciamente di risorgere, di tornare a sentirci superiori. E’ questo un modo maldestro di riscattarci, di ritrovare la stima in noi stessi; è solo un’amara illusione perché l’invidia è un veleno che, in senso metaforico, ci uccide dentro, cioè ci abbruttisce, ci rende egoisti facendoci chiudere in noi stessi e ci allontana dal mondo, dalla felicità.

L’invidia è quel sentimento che nasce nell’istante in cui ci si assume la consapevolezza di essere dei falliti (Oscar Wilde)

Ecco un altro sguardo invidioso in questa opera di Théodore Géricault. Di nuovo la vecchiaia, per rendere meglio con la bruttezza la negatività di questo sentimento che tuttavia è di tutti, anche dei giovani, fin da piccoli, perché è nella natura umana desiderare ciò che si vorrebbe e che non si ha.

Come non farsi distruggere dall’invidia

Ognuno di noi nasce perfetto, pieno di potenzialità, di doni, spesso veri e propri talenti. Questa è la prima consapevolezza necessaria che dobbiamo avere, dobbiamo conoscerci a fondo. Se i genitori sono stati capaci di infondere sicurezza nel bambino introducendolo al mondo gradualmente e rassicurandolo con il loro amore e la loro capacità di dare il buon esempio, il bambino avrà costruito un buon senso di sé, forte e sicuro.

Soprattutto da giovani dobbiamo interrogarci sui nostri talenti e la nostra vocazione per non sciupare il tempo a disposizione. Riuscire a diventare indipendenti dalla famiglia, a stare in piedi da soli e nel contempo cercare la verità di sé, le proprie potenzialità, i punti di forza e le aree di miglioramento. Al di là della famiglia, i giovani possono anche farsi aiutare da figure di adulti che spiccano per saggezza ed equilibrio: i professori che ammiriamo, i professionisti delle scienze umane come filosofi, psicologi, pedagogisti, grafologi, morfopsicologi e i sacerdoti che conoscono a fondo l’animo umano.

Se l’altro si presenta a noi degno di ammirazione e lo invidiamo per determinate qualità, dobbiamo cercare di diventare anche noi degni di ammirazione, con le stesse qualità. Egli diventa per noi un modello da imitare e ci diamo da fare, ci impegnamo e facciamo di tutto per assomigliargli. Allora l’invidia con il tempo passa perché non ha più ragion d’essere e noi siamo in pace con noi stessi perchè siamo diventati migliori, grazie all’amico ammirato.

Se invece non riusciamo a raggiungere quello che desideriamo, questa mancanza ci diventa insopportabile e vogliamo ingiustamente sporcare e offuscare il nostro modello perché troppo difficile da imitare, troppo superiore a noi. In questo modo però dichiariamo a noi stessi la nostra bassezza, la nostra meschinità, la nostra inferiorità.

Questo senso di frustrazione che ci prende quando non riusciamo a raggiungere il nostro modello, ci potrebbe portare a cercare forme di compensazione in cui sentirci “qualcuno”: un incarico per noi importante, un oggetto di valore da esibire, il successo di un figlio di cui vantarsi.

Peccato che dentro di noi rimaniamo sempre gli stessi e questo stratagemma, anziché migliorarci, ci allontana da noi stessi, dalla nostra verità, che dobbiamo semplicemente accettare.

Quando l’altro ci appare migliore, dobbiamo anche pensare che forse non è proprio del tutto così. Il proverbio “non è tutto oro quello che luccica” ci dice che lo stiamo idealizzando e che non dobbiamo fermare lo sguardo in superficie. Chissà cosa prova egli dentro di sé, quanta fatica gli è costata raggiungere la posizione che occupa, il suo successo. Chissà se dorme di notte, quante medicine prende per andare avanti, quanto ha dovuto penare per conquistare un amore, realizzare una famiglia, fare carriera.

Noi non conosciamo l’interno affanno, cosa ci sia dietro la facciata esposta al pubblico. La vita è così: gioia e dolore per tutti, ma noi abbiamo sguardi molto superficiali per capirlo e ci fermiamo solo alle apparenze.

E’ il nostro sguardo dunque che deve cambiare verso l’altro ma anche verso noi stessi. Nessuno è inferiore, ognuno ha i propri talenti ma forse non lo sa perché non li ha ancora scoperti. Questo è il lavoro da fare per non innescare il processo d’invidia: conoscere se stessi e la propria bellezza, diventarne orgogliosi per poterla donare agli altri, arricchendo il mondo. Diventare a nostra volta bravi, capaci, degni di stima e rispettati da tutti. Durante tutta la vita cercare di migliorare se stessi, guardando gli altri con amore, adottare uno sguardo rispettoso, di dolcezza. L’ispirazione deve venire dall’alto, dai valori, dalla Fede che procurerà molti buoni frutti; è il rimedio all’egoismo invidioso che dipinge Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova: la Carità ovvero l’Amore che porta al Paradiso!

Susanna Primavera