La morte nella nostra società
Sembra che non parlare della morte possa cancellarla. Uno studio di Feifel (1956), al contrario, dimostra che sia il gruppo di soggetti sani, sia quello a cui era stata diagnosticata una malattia psichiatrica, esprimono sollievo nel poter parlare della morte in generale e della propria morte. La maggior parte dei medici, in particolare, evitano di parlare della morte non per alleviare la paura nei pazienti, ma per un loro timore nei confronti della fine della vita. Un altro studio interessante ha rilevato il dato controintuitivo per cui nella popolazione adulta la paura della morte risulta più alta rispetto alla tarda età (Thorson, Powell, 1989).
Il concetto di morte nell’anziano
Come accennato in precedenza, anche la dottoressa Ross, sostiene che gli anziani ci sia una migliore elaborazione degli stadi psicologici del morire e che per loro sia più semplice raggiungere un buon livello di accettazione della fine della vita. Sicuramente elemento significativo è la presenza di una buona relazione con i figli e i nipoti. Nello studio condotto da Johnson e Barer (1997) emerge che gli anziani temevano maggiormente il processo che porta alla morte, quindi il rischio di sviluppare malattie, di dover venire ricoverati in una casa di risposo e il pensiero di morire da soli. Inoltre, Giacobbi (2013) parla di morte proibita e fa notare che il potere medico-scientifico ha messo in atto una pratica di requisizione della morte sottraendola all’ambito privato e domestico. La morte, dunque, diventa nascosta e medicalizzata.
La morte non è la fine
Nei paragrafi finora trattati, abbiamo preso in considerazione la morte come assenza di vita del corpo e arresto delle sue funzioni. Si potrebbe pensare che, in qualsiasi modo le persone la raggiungano, la morte sia la fine, la chiusura dell’esperienza che dura molti anni, chiamata vita. Una volta conclusa quest’ultima non c’è più nulla. L’assenza di vita terrena chiama a sé il nichilismo, cioè il nulla. Ebbene, noi cristiani non la pensiamo così. Anzi, non crediamo sia così poiché crediamo in Colui che ha vinto per sempre la morte: Cristo. Dopo la morte il Signore ci aspetta e ci giudica. Ci saranno tre possibilità: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Un sacerdote, proprio negli ultimi mesi della sua vita, diceva: “Io non ho paura di un giudice che è morto per me!”. Il sacerdote diceva questo per far intendere che è giusto avere il timor di Dio, ma Cristo è Dio misericordioso e sarà un giudice giusto.
Virginia Banfi
Bibliografia: Maggiolini, A. (a cura di) (2017). Psicopatologia del ciclo di vita. Milano: FrancoAngeli
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