Utilizzo la metafora di Papa Francesco relativa all’aborto volontario (uccisione di un essere umano innocente) dell’affittare un sicario.Il Papa: “l’aborto è un omicidio!” Noi donne siamo d’accordo
Se tu vendi armi, le puoi vendere per scopi buoni (mantenere l’ordine, la legittima difesa) o per scopi cattivi (uccidere volontariamente).
Tu non sai le intenzioni del compratore (anche se potresti chiederle) e quindi non hai responsabilità sull’utilizzo che egli farà dell’arma.
Ora, tu sei infermiera e prepari per esempio medicine e attrezzi al chirurgo per vari tipi di intervento che sono largamente a favore della persona umana, quindi cooperi normalmente ad azioni buone.
Nel caso dell’aborto volontario, tuttavia, tu collabori ad una azione cattiva con una cooperazione prossima: evidentemente non compi tu direttamente l’aborto ma vi stai collaborando in maniera importante (senza la tua azione il medico non potrebbe operarlo, dovrebbe chiamare un’altra infermiera).
Usando la metafora precedente è come se il negoziante vendesse l’arma ad uno che ha intenzione di compiere un omicidio: se lo sa, non dovrebbe farlo (questo forse non eviterà l’omicidio perché il compratore potrebbe andare in un altro negozio, come il medico chiedere cooperazione ad un’altra infermiera).
Ora, avendo chiarito che oggettivamente cooperare ad un aborto è collaborare a che avvenga un male, vediamo la responsabilità morale.
Affinché un male compiuto (che è, ripeto, un fatto oggettivo) sia moralmente imputabile al soggetto che lo compie o che vi coopera occorrono 3 condizioni simultanee:

1. Materia grave (nel caso di aborto non v’è dubbio);
2. Piena avvertenza (devi conoscere e sapere che stai collaborando all’aborto, e anche questo penso ti sia noto);
3. Deliberato consenso, cioè conoscendo cosa stai facendo, tu scegli liberamente di commettere questo male.
Credo che nel tuo caso l’ultimo punto sia quello più importante: sei veramente libera di poter scegliere di rifiutarti di collaborare (come sarebbe giusto) o vi sono forti pressioni (il datore di lavoro ad esempio) che “offuscano” questa tua libertà?

In conclusione:

1. Collaboro a compiere un male grave? Si!

2. Ne sono responsabile? La misura della tua responsabilità è legata al grado di prossimità al male (nella metafora di prima non sei tu che spari ma vendi l’arma per compiere il delitto) e devi avere quella libertà per poter dire no (questo dovrebbe essere garantito dall’obiezione di coscienza, ma vi possono essere forme più subdole di coercizione psicologica).
Il suggerimento comunque è quello di parlare del tuo caso specifico con un bravo confessore, che possa anche suggerirti più in dettaglio come muoverti in questo specifico ambito.

Elio Mazzi

Diacono permanente