Uomo, padre, sposo, figure imprescindibili all’interno della famiglia e della società tutta. Ruoli dati per certi, per scontati eppure oggi in “ affanno”, per così dire, agli occhi del mondo. Quali le cause, culturali , soprattutto? L’impatto che il femminismo e l’approvazione della legge 194 hanno avuto è stato significativo?
Ne tratteremo in modo approfondito con il dott. Stefano Parenti, psicologo e psicoterapeuta ma, per cogliere in profondità la differenza con il passato, sembra interessante partire dal mondo antico e proporre un metodo di riflessione che potrebbe risultare utile, per evitare di cadere nel tranello di un’interpretazione della nostra società, condizionata dall’ideologia. Il metodo consiste nel non applicare interpretazioni moderne, specie se dettate dall’ideologia, al mondo antico.
Prendiamo per esempio il Medioevo, epoca meravigliosa che ha dato al mondo personaggi del calibro, giusto per citarne due, di San Tommaso e Dante Alighieri. Del Medioevo molti parlano come di un’epoca arretrata e buia.
Quando si consideri per esempio la condizione della donna nel Medioevo, si sottolinea sempre il fatto che fosse sottomessa e non libera: questo proprio perché si applicano le categorie del mondo contemporaneo, sicuramente condizionate dal femminismo. Invece la donna nel periodo medievale assolveva ai ruoli di moglie e madre in un’ottica sicuramente ispirata alla fede, così come l’uomo assolveva ai compiti di protettore della donna e della famiglia, in un’ottica sicuramente ispirata alla fede. Una classificazione diversa, influenzata dalle mode odierne, non ha nulla di culturale.
Andiamo con ordine e facciamoci aiutare dal significato delle parole, che avevano un senso ben preciso nell’antichità:
Homo e vir/ ΑΝΘΡΩΠΟΣ/ΑΝΗΡ
Prima di tutto la differenza fondamentale tra homo e vir: l’etimologia ci viene in soccorso, homo fa riferimento a humus e quindi alla terra, non necessariamente si parla del maschio o della femmina forse anche di tutti e due, ma comunque homo si distingue da deus, da Dio che invece per gli antichi era o sull’Olimpo o comunque distaccato dalla terra e caratterizzato dalla immortalità. La grande differenza tra l’uomo e il Dio era questa, la mortalità e la necessità di cibarsi dell’uomo e la possibilità di vivere per sempre del Dio. Il vir è un’altra cosa: virsi contrappone a mulier e a femina; di carattere fermo, di coraggio, forza energia: un vero uomo per Cicerone, plane vir; per il significato, poi, a seconda dei contesti, marito, maschio, soldato, eroe. Insomma una figura decisamente connotata. Da questo termine deriva l’aggettivo italiano virile.
La stessa differenza esiste in greco: ΑΝΘΡΩΠΟΣ che corrisponde a homo è termine generico indicante uomo popolo umanità; invece ΑΝΗΡ ha in sé la radice indoeuropea che significa “forte” con tutte le variazioni semantiche già dette per il termine latino vir.
Veniamo quindi ai giorni nostri e al tema della nostra chiacchierata, la scomparsa, per così dire, dell’uomo.
L’impatto della legge 194 sui ruoli maschile e femminile
Senz’altro, nel cambiamento del costume, un impatto determinante e negativo lo ha avuto la legge 194 : la posizione della donna rispetto all’uomo, nella scelta di abortire, è sicuramente di prevaricazione ed è determinata da una impostazione ideologica che ha voluto fare a pezzi il passato, nella convinzione che si potesse escludere la figura maschile dal percorso decisionale in merito all’aborto. L’articolo della legge 194 che afferma che spetta alla donna, e solo alla donna, decidere sull’interruzione di gravidanza; che l’uomo può esprimere il proprio parere solo se la donna lo consente, ha contribuito a capovolgere completamente l’immagine maschile e a distruggere la famiglia.
E non stiamo parlando soltanto del ruolo paterno, ma proprio della figura del maschio. Quando si afferma che è in corso un processo di devirilizzazione si intende proprio affermare che, almeno dal 1978 in poi, dopo la approvazione della legge 194, si è determinata una cultura di rifiuto e di esclusione della figura maschile. Tutto ciò nell’arco di quarant’anni può avere contribuito a questo processo di autodeterminazione/ affermazione esclusiva della donna a discapito dell’uomo.
Ci chiarisce il punto della situazione il dottor Stefano Parenti, amico e Psicologo, autore di un saggio approfondito sull’assenza del padre. Con lui proprio parleremo dell’uomo, della devirilizzazione, dell’assenza del padre.
1) Cosa si intende con il termine devirilizzazione?
Questo è un tema che mi è molto caro, perché lo incontro tantissimo nel mio lavoro di psicoterapeuta. Incontro tanti uomini dominati dalla paura, dalla vergogna, dal senso d’inferiorità. Affannati, agitati, preoccupati…ansiosissimi. Dov’è quella roccia su cui le mogli possono appoggiarsi? Dov’è quel porto sicuro dove i figli possono ormeggiare? Quando parliamo di processo di devirilizzazione intendiamo una lunga traiettoria, che parte ben prima dell’approvazione della brutta 194, e va indietro nel tempo, anche molto indietro. Ricordo, ad esempio, la distinzione che si studiava a scuola tra la monarchia medievale e la monarchia delle nazioni moderne, che veniva definita come “assoluta”. Il re – pensiamo a Luigi XIV rispetto ad un altro Luigi, Luigi IX, contemporaneo di San Tommaso d’Aquino – che bisogno ha di elevarsi ad assoluto? Di schiacciare gli altri? Di prevaricare? Quando parlo di bisogno parlo proprio la lingua della mia disciplina, la psicologia: sembra ci sia un bisogno di superiorità, di affermazione, di egocentrismo, di adorazione. Ma una persona così è un vero uomo? Nel Novecento, poi, abbiamo assistito a tante piccole e grandi rivoluzioni: il femminismo, il sessantotto, l’omosessualismo, il gender…tutte contestazioni che hanno preso di mira l’uomo con l’obiettivo di de-virilizzarlo, cioè di attaccare le sue qualità più specifiche, che sono l’aggressività, la forza, la competitività, la capacità di condurre battaglie (e quindi di reggere pressioni, di fronteggiare la morte), eccetera. Il risultato è l’estrema fragilità dell’uomo (e quindi anche del padre), che diviene assente, debole, insicuro, affannato. Cioè devirilizzato. Ma allo stesso tempo diviene anche il suo opposto, come constatiamo continuamente dai femminicidi, cioè tanti piccoli re sole: viziati, capricciosi e violenti. Come hai ricordato anche tu – e io devo queste riflessioni al collega Roberto Marchesini – homo in latino è l’uomo in generale, cioè la persona umana, il maschio o meglio l’uomo realizzato nella sua virilità è il vir. Vir è anche la radice della parola virtù, per cui a me piace dire che il vir è l’uomo virtuoso.
2) Parliamo delle virtù dell’uomo
Le virtù, nel linguaggio della psicologia tradizionale, sono una disposizione che aiuta a perfezionare le facoltà umane. Allora l’uomo virile è l’uomo la cui natura è perfezionata, si potrebbe dire “educata” al meglio delle proprie qualità. Quali sono queste qualità tipicamente virili? Prudenza, cioè saggezza, capacità di scegliere i giusti mezzi per il giusto fine. Giustizia, cioè dare ad ognuno ciò che gli spetta. Temperanza, ovvero autocontrollo, possibilità di anteporre il bene al piacere. E last but not least la virtù maschile per eccellenza, ovvero la fortezza: restare fermi contro la fatica, le avversità, le paure. Se prendiamo uno qualsiasi dei molti film italiani degli ultimi venti-trent’anni osserviamo subito che gli uomini ivi rappresentati sono tutt’altro che virili: traditori, infedeli, molli e vigliacchi. Una volta gli italiani erano definiti come “santi, poeti e navigatori”…una storia ormai al passato remoto. La realtà è ben altra: gli uomini sono piccoli, fragili, meschini. Non sorprende, allora, il loro silenzio di fronte ad una legge omicida, quale la 194, che neanche li contempla nella scelta dell’interruzione o meno della gravidanza, quella in cui è implicato il loro figlio.
3) Vuoi raccontarci qualche esperienza in merito alle difficoltà dell’uomo di trovare il proprio ruolo?
Ad esempio, a me sorprendono molto i papà che sono incapaci di coinvolgersi adeguatamente coi figli. Molti li abbandonano quando si separano dalla moglie (una statistica pazzesca, un po’ datata…ma non penso che in vent’anni le cose siano migliorate, ci dice che il 20% dei figli di separati e divorziati perde i contatti col papà nei due anni successivi alla separazione…lo diceva anche Iron Man ad un ragazzino abbandonato dal padre, nel terzo film: “i papà se ne vanno”. Aggiungeva anche un agghiacciante: “Non ti preoccupare”, segno di come la nostra cultura occidentale sia complice di questa deriva). Molti altri, invece, pur restando in famiglia e agendo da genitore scambiano il proprio ruolo con quello di una seconda mamma: sono ansiosissimi, preoccupatissimi per i figli. Dei veri e propri “mammi”. Spessissimo raccontano che si sentono anche poco incisivi nelle punizioni, che non hanno autorevolezza specialmente con gli adolescenti. Certo: se ogni qual volta che provavano ad alzare la voce e magari a dare qualche scappellotto, o persino a dire di no, poi dovevano soccombere all’attacco delle mogli, che li criticavano per essere antiquati, violenti, selvatici…beh capiamo perché sono giunti a quel punto
4) Noi donne abbiamo qualche responsabilità nei confronti dell’uomo? Noi mamme?
Sono moltissime purtroppo le donne che vogliono un uomo addomesticato, che le serva in tutto…ma poi s’innamorano del collega virtuoso. Ricordo un film di Carlo Verdone in cui lui è il papà di una famiglia che parte per le vacanze, e il suo personaggio ha probabilmente un disturbo ossessivo compulsivo (tanto che, per perfezionismo o paura della critica, si rimette a montare la gomma bucata per non far ritrovare aggiustata la macchina dai soccorsi). La moglie dice più volte una frase celebre: “Non ne posso più!”. Non ne posso più di un uomo ipercritico, precisissimo e agitatissimo, preoccupato del giudizio degli altri. Eppoi…eppoi…passa il classico seduttore: apparentemente libero, leggero, tranquillo, serafico e sornione. E lei scappa con lui. Il film manda un messaggio chiaro, che non è stato ascoltato: l’uomo debole non è di aiuto alle mogli. Ma non lo è neanche il bullo, il palestrato, il violento (che spesso viene recensito dalle cronache nere), anche questi modelli soffrono di de-virilizzazione. Alleneranno certamente il testosterone più dei mollaccioni, eppure non la virilità, che è fatta di pazienza e perseveranza, di abnegazione e sacrificio (come Gesù, “massimo esempio di virilità” per ricordare i begli insegnamenti di Giovanni Paolo II). Per riprendere le categorie aristoteliche, il primo tipo d’uomo quello debole, manca la virilità per difetto, questi ultimi per eccesso.
La virtù, ricordiamolo, sta nel mezzo
Ci sono però anche dei segnali di ripresa. Piccoli, purtroppo, non un vero e proprio movimento culturale (anche perché diverse “forze oscure” – chiamiamole così – del mondo moderno lavorano operosamente per anestetizzare la virilità, come la pornografia che tende a generare una fortissima dipendenza negli uomini e a renderli stanchi, rammolliti, ossessionati e incapaci di darsi, oltre che violenti verso le donne). Ad esempio, incontro anche dei giovani papà che vogliono fortemente distinguersi dal proprio genitore: vogliono essere presenti e iniziare il figlio al mondo dei maschi, e anche alla religione. Tutt’altro che quell’atteggiamento un po’ da Ponzio Pilato del “deciderà lui se vuole da grande”. Ci sono anche quelli che dicono un secco “no” anche se non è conveniente farlo: dicono “no” ad un guadagno facile ma ingiusto, ad un tradimento sentimentale che comunque non verrebbe scoperto, persino agli aborti…insomma qualche segnale di ripresa c’è. Ricordo un paziente che mi raccontava di un collega che raggirava un altro collega, e lui lo aveva affrontato dicendogli: “Ma che uomo sei? Che uomo sei che usi il sotterfugio e l’inganno per ottenere un vantaggio viscido?”. Avevo apprezzato moltissimo questo modo di guardare e di porsi.
5) Spesso anche la separazione e il divorzio non permettono all’uomo di adempiere al proprio ruolo di padre: qual è la tua esperienza in merito?
Allora, il divorzio è davvero una piaga sociale. Si proclamano i vantaggi della libertà (e certamente ci sono anche quelli) ma si tacciono completamente le tragedie che le separazioni producono. Sui figli specialmente, per loro è come subire un terremoto: trac! La casa si è spezzata in due. Oltretutto devono gestire questa situazione di terremoto molto spesso da soli, perché i genitori (pur restando fisicamente presenti e anche con la massima intenzione di nuocere il minimo possibile) sono presi emotivamente dai cambiamenti, dalle ferite che si sono inflitti come coppia, dagli avvocati, le famiglie di origine, il patrimonio da gestire, terzi che entrano o sono già entrati nella coppia eccetera. Molto spesso, poi, l’uomo ha la peggio nelle separazioni e nei divorzi. Nonostante gli indubbi passi in avanti fatti con la legge dell’affido condiviso e di una cultura che voleva non far pagare tutto al padre. Però io vedo queste situazioni: un padre che, non più voluto dalla moglie, non riesce ad andare via di casa per una questione di costi, poiché con la separazione ha il mantenimento dei quattro figli (un mantenimento quindi che non è da poco) e quindi deve dormire nel letto assieme alla moglie sapendo che questa sta vedendo un altro. Terribile. È un uomo distrutto. Non ha grandi aiuti, anzi, meno male che sua moglie è comunque una persona brava e che gli vuole comunque bene, diciamo così. Però è lasciato solo e deve portare comunque avanti la famiglia anche quando il coniuge è con la testa altrove. Certo…il suo ruolo di padre è ridotto ai minimi termini: lavora tantissimo, nel fine settimana deve rispettare “la libertà” dell’ex coniuge di stare lei coi ragazzi…insomma…è ridotto al lumicino. Un’altra situazione drammatica è quella di un papà, anche relativamente giovane, sulla quarantina, la cui consorte si è prima invaghita e poi ha deciso di fidanzarsi con un suo collega. Sfortunatamente, per questioni varie, aveva intestato tutto alla moglie (lui era un piccolo imprenditore) e lei, con una freddezza allucinante, ha come premuto un interruttore, e in pochi giorni ha deciso che lui non avrebbe più dovuto far parte della sua vita. Meno male, in questo caso, che il tribunale ha deciso di non concedere l’affido esclusivo dei due figli alla madre, altrimenti avrebbe perso anche loro (ma non c’erano le condizioni per questo, era proprio una richiesta della ex moglie che voleva resettare col passato). Insomma, nel giro di pochissimo questo uomo, papà di due bambini, si è ritrovato tradito, buttato fuori di casa e col rischio di vedere i figli solamente attraverso i servizi sociali. Immaginate che pena assurda! Dunque nel caso del divorzio vedo due grandi problemi legati agli uomini, seguendo un po’ quello schema aristotelico che dicevo prima: per eccesso ci sono i papà che scappano, abbandonano il campo, e non si fanno più sentire. La scusa qui è tipicamente il lavoro o anche una nuova relazione (dai figli talvolta si sente dire: “preferisce l’altra famiglia a me”). Per difetto, invece, vediamo i papà completamente annichiliti da delle donne molto forti, sicure, fredde, decise. Un po’ senza cuore. Qui la mediazione familiare oltre che la psicoterapia è fondamentale, perché mi è capitato – diversi anni fa ormai – di sentire una donna dire: “Non voglio che lui sia più il padre dei miei figli!”. Ma questo – al netto di situazioni straordinarie dove c’è stata perversione e violenza nella coppia – si chiama delirio di onnipotenza.
6) Riesci a vedere qualche soluzione, intendo dal punto di vista culturale: come invertire questa tendenza?
Uhm…no. Devo essere sincero. Ho solo un ideale, che non è una soluzione. L’ideale è che gli uomini riscoprano la propria virilità, che è uno strumento buono, di cui non avere paura. E la educhino, la costruiscano, la valorizzino e la usino al servizio delle donne e dei bambini, dei poveri e dei deboli. Una cosa che insegna il cristianesimo – e che è una verità umana universale – è che comandare è servire. Cioè la forza, la determinazione, la difesa…sono tutti strumenti che non devono servire all’io, ma al tu e più ancora al noi. La forza serve all’uomo per proteggere la moglie e i figli dai cattivi, la determinazione per prendere strade ardue ma giuste, il coraggio per farsi avanti, la sicurezza per fregarsene del giudizio degli altri (fregarsene in senso buono, cioè non dar peso eccessivo alle impressioni altrui a discapito del proprio criterio interno di giudizio, una cosa che nel nostro mondo “social” basato sull’immagine sembra un’eresia). Quando gli uomini recupereranno questa coscienza della propria bellezza, cioè del proprio posto nel mondo, allora potranno rivendicarlo. Ma non come un movimento di lotta, no, altrimenti sarebbe come proporre del vino nuovo nei vecchi otri, ma come alternativa culturale in grado di attrarre. Il sogno, ma ripeto, questo è più un ideale che un progetto, è che famiglia dopo famiglia ci sia un contagio di bellezza: una famiglia bella, in cui c’è un equilibrio forte e sano tra marito e moglie, e tra genitori e figli, che genera gioia e entusiasmo e contagia poco per volta anche le altre famiglie, e le cambia dall’interno. Magari anche facendo andare via dei miti o delle idee false (come quella che la libertà individuale può affermarsi negando la vita ad un feto) non sulla base di una diatriba culturale, ma sulla base dell’esperienza di una vita nuova, cioè per attrazione e imitazione. Mi ritornano alla mente le parole di San Gregorio di Nissa che scriveva: “Ad una teoria si può sempre opporre un’altra teoria, ma chi potrà mai confutare una vita?”. La vita, cioè una cultura, cambia la mentalità. Non tanto l’idea, per quanto giusta, e neppure le leggi purtroppo. Possiamo scrivere tutte le leggi giuste del mondo ma se poi il popolo pensa altrimenti non le applicherà, o lo farà male, o aspetterà il prossimo cambio al governo per modificarle. Ecco quindi la soluzione ideale, per come la sogno io, è che gli uomini ritornino a perseguire le virtù a discapito dei soldi, dell’utile e del comodo. Che tornino ad amare la propria forza e spenderla per il bene comune.
L’intervista al dott. Stefano Parenti è stata da me condotta nella trasmissione di Radio Maria “ Tavolo pro-life “ e si può ascoltare a questo link https://radiomaria.it/puntata/tavolo-pro-life-20-05-2024/
Vittoria Criscuolo