Donna, atleta, mamma: la vera discriminazione è in gravidanza
Si sono appena concluse le Olimpiadi di Tokyo, che ci hanno visti grandi trionfatori e, giustamente, orgogliosi dei nostri atleti. Non sono mancate le polemiche, da parte dei giornali stranieri e anche di alcuni sportivi, sulle vittorie ottenute dagli Italiani, come se non avessimo il diritto di eccellere rispetto a Inglesi e Nord Americani! Non intendiamo però appassionarci a questa tematica, quanto a quella della discriminazione di genere, andata in onda durante questi giochi come nelle Olimpiadi precedenti, ma silenziata accuratamente dai media: ci riferiamo alle atlete donne che restano incinte durante la preparazione per i giochi olimpici. Cosa può loro accadere?
La scelta dell’aborto per preservare la carriera
Le atlete spesso sono sottoposte ad una forte pressione per scegliere tra la gravidanza appena iniziata e le loro carriere. Per esempio, la saltatrice ad ostacoli Brianna Mc Neal, devota cristiana, ha ammesso il trauma dopo l’aborto che ha scelto di effettuare per promuovere la propria carriera.
Analogamente, nel 2017, la vincitrice di medaglia olimpica Sanya Richards-Ross, ha ammesso di aver abortito due settimane prima dei Giochi Olimpici di Pechino, aggiungendo:
”Non conosco praticamente nessuna atleta di atletica leggera che non abbia mai abortito”. Ha anche comunicato di aver ritrovato la pace interiore con la guarigione del cuore, decidendo poi di iniziare ad aiutare altre donne ferite dall’aborto.
Ci sono atlete che, invece, hanno condiviso le loro storie potenti di scelta di vita per i bambini e di successi comunque ottenuti nelle competizioni durante la gravidanza, per dimostrare che vale la pena di non sacrificare la vita dei loro piccoli.
Atlete che hanno gareggiato durante la gravidanza
Lindsay Flach, 31 anni, alla terza prova olimpica di atletica leggera, mostra un evidente pancino: incinta di 18 settimane, un po’ inaspettatamente, con programmi di vita e famiglia stravolti dalla pandemia e dal rinvio delle Olimpiadi dal 2020 al 2021, la giovane donna si è sottoposta a tutti i controlli possibili e immaginabili per gareggiare al meglio salvaguardando però la salute del suo bambino. Certo le sue prove sono state condizionate nei risultati dalle sue preoccupazioni di mamma, ma Lindsay ha dimostrato che si può uscire di scena dallo sport senza rinunciare ai sogni.
Anche la campionessa di tennis Serena Williams ha vinto un torneo del Grande Slam mentre era incinta di due mesi, mentre Kerri Walsh-Jennings, ha vinto la medaglia d’oro olimpica nel beach volley mentre era in gravidanza.
La svolta: informare e sostenere economicamente e psicologicamente
L’esempio più recente è offerto da Allyson Felix, che ha vinto la decima medaglia olimpica ai giochi di Tokio 2020 dopo aver concluso al terzo posto la gara di 400 metri, e che si avvia ad essere l’atleta con il più grande numero di successi olimpici della storia americana. La giovane, 35 enne, ha da poco istituito un fondo per aiutare le sportive olimpiche nelle spese per l’assistenza all’infanzia. Le atlete frequentemente si trovano a dover scegliere se abortire oppure no e la giovane donna ha portato la propria personalissima testimonianza :” Come mamma e atleta, conosco in prima persona gli ostacoli che le donne affrontano nello sport”, ha detto a luglio, quando ha annunciato il nuovo fondo “ Power of she” in collaborazione con la Woman’s Sports Foundation. Allyson è rimasta incinta tre anni fa durante la preparazione atletica, ha avuto un cesareo d’urgenza e ha dovuto affrontare difficoltà enormi per tornare in forma mentre accudiva la bimba, perché non era previsto un trattamento di sostegno economico e di aiuto a lei e alla neonata.
Ancora una volta l’accusa va diretta a chi non informa le atlete dei loro diritti e della pianificazione familiare ( leggi qui il nostro articolo sulla regolazione naturale della fertilità) .
Dove sono le femministe?
Nessuna femminista si batte mai per questo tipo di discriminazione di genere: essere donna sportiva, moglie, madre potenziale, diventa una debolezza tale da poter precludere una carriera? La mancanza di conoscenza della regolazione naturale della fertilità per evitare gravidanze, si può considerare forse una pecca dei programmi di preparazione delle sportive.
Una seria informazione e un sostegno economico e psicologico potrebbero aiutare la donna atleta, durante la carriera, a vivere la propria femminilità, la propria maternità ma, soprattutto, potrebbero evitare numerosi aborti.