In questi ultimi giorni la cronaca ci ha posti di fronte a nuove violenze subite dai bambini per mano proprio delle figure di accudimento o delle strutture sociali deputate alla loro accoglienza.
Il primo caso è di Modica e riguarda Evan Lo Piccolo, un bimbo di 21 mesi, deceduto per trauma cranico. Questo caso colpisce particolarmente perché la violenza inferta è scaturita dalla incapacità degli adulti di “sopportare” il pianto del piccolo.
Nel pianto del bambino una richiesta di aiuto
Quando il bambino è piccolo, il suo pianto è sempre la manifestazione di un bisogno o di un disagio: egli infatti non ha ancora parole per esprimere sentimenti, prova dolore, paura, angoscia o bisogni fisici. Certo il pianto innervosisce chi è stanco e vorrebbe dormire. Non è raro che i genitori non sappiano cosa fare per alleviare un pianto disperato e, a loro volta, entrino in uno stato di alterazione perché magari sfiniti, spossati e preoccupati. Forse bastava un po’ di tenerezza, un forte abbraccio, i baci rassicuranti della mamma perché a quasi due anni un bambino è proprio molto piccolo e il suo più grande bisogno è l’amore e la cura dei genitori.
Se nel pianto vi è un disagio, la prima reazione degli adulti deve essere di cercare di capire che cos’è che lo spinge a richiedere la nostra attenzione. E’ spesso un pianto di ricerca di contatto fisico per ritrovare la sicurezza del corpo della mamma o del papà. I bisogni possono essere tanti ma questo desiderio di non starsene troppo da solo nel lettino è spesso sinonimo di ricerca di affetto, di bisogno di sicurezza, di consolazione. La tendenza istintiva nella risposta va dal bicchiere d’acqua alla camomilla, dal piccolo gioco al racconto di una favola o perfino al bagnetto che rilassa. Si può diventare creativi per trovare una soluzione, per calmare il bambino e portarlo piano piano al sonno ma la cosa più importante è sempre rassicurarlo con molta tenerezza per aiutarlo ad abituarsi a dormire da solo, senza cedere subito e portarlo nel letto con noi.
Genitori aggressivi, perché?
Ecco, in questa vicenda, è proprio la reazione esasperata di aggressività dell’adulto nei confronti di una creaturina indifesa, totalmente dipendente, che spiazza, sgomenta e fa riflettere. Adulti frustrati che non sanno controllarsi perché non hanno equilibrio emotivo, quindi dominio e controllo di sé, e diventano preda dei propri impulsi? Giovani adulti che anziché rispondere subito con tenerezza e intelligenza, rassicurando, calmando e parlando, si irritano dapprima e s’infuriano dopo, fino a trasformarsi in aguzzini che maltrattano e colpiscono ripetutamente, finendo per uccidere il bambino indifeso.
Adulti dunque che avevano bisogno di aiuto per migliorare se stessi. Giovani poveri di risorse interiori, non educati all’amore e alla protezione dei più deboli. Forse adulti soli, insoddisfatti, dipendenti da sostanze, immaturi e incapaci di trovare dentro di sé spinte verso la pazienza, la comprensione, l’equilibrio della personalità. Adulti però da intercettare e da aiutare in una società moderna, civile e democratica. Una società che deve essere attenta ai bisogni più profondi dei propri cittadini, dalla culla alla scuola, dall’impegno al divertimento, dalla famiglia al mondo del lavoro.
Ogni bambino è un dono d’amore ed esige rispetto
Il secondo caso, che non ci si aspetta di incontrare dopo le tristi vicende di Bibbiano, rammarica e reclama giustizia ancora una volta per il dolore causato ad un’intera famiglia e per i danni psicofisici procurati ad Anita, una bambina fragile, viene da Bari. Anni fa quando aveva 11 anni, ella venne allontanata dai genitori e affidata ad una comunità di accoglienza. Era una bambina con lieve ritardo mentale ma serena. Oggi dopo sette anni trascorsi in comunità presenta “grave incapacità di intendere e di volere”. Essendo maggiorenne potrebbe richiedere di tornare in famiglia ma stranamente il tutore ha chiesto e ottenuto per lei una proroga (irregolare) di permanenza in comunità di altri tre anni. A chi conviene che Anita rimanga in comunità?
E’ mai possibile che nessuno in sette anni si sia accorto del progressivo peggioramento di Anita? Come mai i genitori non possano mai intervenire e farsi ascoltare? Ma c’è qualcosa di impressionante in questo caso che scandalizza e chiede verità e giustizia per la durezza con la quale è stato gestito il caso e per il “trattamento” riservato alla bambina. Quando ha 11 anni e dovrebbe tornare dalla madre, viene ricoverata in ospedale per una gastroenterite. In seguito alla decisione del giudice contraria al suo rientro a casa, scatta per lei un’operazione degna di un criminale, per cui su ordine del tribunale, giungono a prelevarla dall’ospedale polizia e servizi sociali per impedirle a tutti i costi di tornare a casa.
Ancora oggi non si riesce a capire perché la madre che ben 2 CTU (le perizie degli esperti richieste dal giudice) hanno valutato positivamente come “molto attenta ai bisogni della figlia”, non possa ancora rivedere la figlia. Perché dunque far soffrire una mamma che ha, per così dire, superato i test di idoneità genitoriale e una figlia ferita e malata che ha un disperato bisogno del suo affetto e delle sue premure?
I servizi sociali: una mano efficace per le persone in difficoltà
Tribunali e Servizi Sociali decretano da tempo il destino di centinaia e centinaia di minorenni. Ecco che la “società” prende forma in certe istituzioni che dovrebbero intercettare quei casi più difficili, di cui sopra, e fornire aiuto, sostegno e rimedio ai bisogni educativi, psicologici, affettivi e sociali di famiglie, genitori e bambini, in difficoltà.
L’indagine di Avvenire sui minori prosegue con dati interessanti sulla situazione in Italia: ogni giorno 63 minori vengono allontani dalle loro famiglie: 160.000 episodi in 2o anni. Bisogna perciò garantire che tutte queste strutture: i tribunali, i servizi sociali e le case di accoglienza siano veramente efficienti nel fornire servizi alla persona e alla famiglia e quindi innanzitutto rispettare l’umanità affidata. Non devono diventare macchine di un sistema ma centri ricchi di umanità, con capacità di fornire vera giustizia, accoglienza e sostegno morale. Le case di accoglienza infine dovrebbero garantire aiuto psico-socio-educativo di orientamento nella vita.