Lo scorso anno, il Dott. Massimo Cannavò, chirurgo presso l’ASST Settelaghi ospedale di Cittiglio, era partito volontario da Varese a Cremona nel momento peggiore della Pandemia ed era tornato stanco e provato ma fiero di aver superato quella terribile prova. Nel cuore aveva il ricordo del giovane Mattia che si era salvato… Non avrebbe mai immaginato che quel virus stava aspettando anche lui, un anno dopo.
Nei mesi scorsi infatti, il dottore si è ammalato improvvisamente di Covid-19 e ha rischiato di morire. E’ tuttora in convalescenza perché riprendersi da questa malattia richiede tempi lunghi.
Come va Dottore?
Sento subito il fiatone. Ad ogni frase devo riprendere il respiro. Faccio esercizio fisico in casa, con il tapis roulant cerco di aumentare piano piano la velocità. Ho anche le palline della fisiochinesiterapia. Devo riuscire a dilatare la gabbia toracica ma, ragionando da sportivo, penso di correre subito ma il fisico non risponde…
E’ stata durissima, dopo la malattia barcollavo…
Perché non provare anche con il Training Autogeno e la meditazione per tornare alla consapevolezza di sé e del proprio corpo, la consapevolezza del proprio respiro?
Il virus è andato dritto ai polmoni, io non ho perso l’olfatto ma ho preso direttamente la polmonite; avevo la febbre altissima ma stavo bene; aumentando la temperatura, di solito i virus smettono di replicarsi, invece questa volta no! E’ stato un mezzo dramma, la saturazione tendeva a scendere. Nelle settimane precedenti avevo visto gente con la polmonite bilaterale. Dopo una polmonite così brutta non puoi fare nulla, non c’è un farmaco. Perdere il controllo del proprio corpo è stata una sensazione spiacevolissima. Io non potevo fare nulla. I miei colleghi mi hanno portato l’ossigeno a casa e il cortisone a dosi altissime. Questa mancanza di controllo è terribile…
Invece quello che mi ha colpito nel profondo e che mi ha aiutato veramente tanto è stato venire a sapere che tante persone “pregavano” per me.
Tra il 4 e 5 di gennaio mi mancava l’aria! Dentro di me pensavo: “Non ce la faccio!”. Ebbene proprio in quell’istante ho ricevuto la telefonata del frate che ci ha sposato che mi ha detto: “Siamo in 40 frati che stiamo pregando per te.” Non so spiegarlo, ma da quel momento mi è arrivata un’energia misteriosa. Credo che lo Spirito ci sia e che a fare la differenza sia la preghiera, una forza invisibile.
Sono stato due settimane senza dormire, mi guardavo e contavo i miei respiri affinché la saturazione non si abbassasse, rimanesse a valori accettabili: un incubo! Nemmeno mia moglie ha potuto dormire per potermi assistere ad ogni istante. E poi non parlavo, perché quando stai male non parli più…
E’ il silenzio triste della malattia!
Sì, è un dramma, qualcosa di fulminante, sei in un tunnel. Hai paura che nel respiro successivo non avrai abbastanza aria per andare avanti. Per due settimane non sono sceso dal letto. Non mangiavo quasi nulla per non impegnare il tratto digerente e consumare ossigeno. Ricordo la prima notte senza ossigeno… Però la malattia è devastante, faccio tanta fatica da sportivo ritrovarmi così! Sempre grazie alle preghiere, mi dicono ora che posso recuperare.
Abituato a stare via in ospedale tutto il giorno, com’è stare a casa così, adesso?
Non sempre il male vien per nuocere… Quando arriva la malattia, la tua vita si ferma: stai rischiando di morire, e metti in discussione tutto. Cosa mi sto perdendo? Sto facendo bene? Mi devo riprendere la vita e non lasciarmi trascinare dagli eventi, forse ci sono cose che devo recuperare. Non è scontato nulla.
Ho recuperato il rapporto con mio figlio, con mia moglie. Ho cucinato per loro, fatto le cose meglio. Prima ero troppo preso dal mio lavoro per accorgermi di loro. Adesso è passato un mese e molte cose sono cambiate. Oggi, io e mio figlio pranziamo insieme, non ci diciamo nulla perché abbiamo riscoperto il piacere di mangiare insieme.
Dopo questa brusca frenata, sto riprendendo le cose in modo più calmo. Se non mi fosse venuto il Covid, mi sarebbe venuto l’infarto. Quindi, grazie a questa malattia, ora vedo cose che prima non vedevo proprio. Era troppo frenetica e troppo di corsa la mia vita.
Io stavo in ospedale dalle sette del mattino alle otto di sera. Vi erano anche dei tempi morti in cui non facevo nulla; ripensandoci adesso mi dico che avrei potuto fare una telefonata per sentire la voce di mio figlio… Il lavoro è così, sei talmente immerso che butti via il tempo che ti rimane. Certo nel momento in cui lavoro ci devo essere. Quanto è successo mi aiuta psicologicamente ad andare avanti: ho davanti a me un progetto di vita nuovo, diverso da prima e che non si esaurisce nella professione.
La malattia fa ritrovare dunque la propria umanità?
Sì, è che siamo “viziati”, diamo per scontato ad esempio che ci sia sempre l’aria e invece basta un nulla per perderla quell’aria. Dobbiamo rivedere tutto. Il 90 per cento dei vaccini sono concentrati in pochi paesi ricchi. Anche l’economia deve cambiare, deve ripartire da una logica diversa. La giusta distribuzione dei vaccini, l’economia, il clima, tutto deve cambiare perché anche noi siamo cambiati! E’ stata una grande lezione della vita, che fa rimettere tutto in discussione. Ma “la forza della preghiera” è ciò che mi ha talmente colpito che alla fine ero io a chiedere di pregare per me. Io, il Dott. Cannavò ero autosufficiente… e, invece, ti rendi conto della tua fragilità. Non è un atto di debolezza, è richiesta di solidarietà e mi ha fatto tanto bene quanto le dosi massicce di cortisone!
Non ho nemmeno voluto farmi ricoverare in ospedale perché per me andare in ospedale da paziente era rompere quell’equilibrio della mia mente. Io, l’ospedale, lo conoscevo da medico e mi faceva paura l’idea di allontanarmi da tutti e rimanere lì da solo, in fin dei conti è per me la cosa peggiore! Perché la cosa più terribile non è morire ma è morire da solo! Così mi son detto finché posso resto a casa.
Sì, ti riscopri per quello che sei: un essere umano come tutti gli altri. Però è un punto di ripartenza, una rinascita in tutti i sensi. Faccio le cose in modo diverso, ho rallentato nel senso buono, me la assaporo! Prima c’era la fretta, la corsa, e, se me lo avessero chiesto, non avrei nemmeno saputo dire perché. Ora sto rallentando e gustando meglio la mia vita. Il mio figliolo ora mi abbraccia, mi chiedo perché non lo faceva prima? Forse perché io, pur senza volerlo, non mi lasciavo abbracciare…
Grazie per questa intervista che non mi fa solo ricordare ma soprattutto metabolizzare il mio recente vissuto. Una malattia che può sembrare solo devastante, può essere opportunità per sentirsi vivi e diventare nuovo punto di partenza per una visione diversa di ciò che ci sta attorno!
E’ l’insegnamento di Gesù che ci dice: “Il malato sono io; quello che fate a lui, lo fate a me”
In effetti Dott. Cannavò, quando un medico si ammala, deve, in certo qual modo, spogliarsi del suo ruolo e ritornare ad essere una persona fragile come tutti. In questa intervista, abbiamo potuto ripensare insieme agli eventi trascorsi e far emergere domande e riflessioni nuove che ci arricchiscono reciprocamente.
Dietro ogni scacco della vita, fallimento o errore, si nasconde la sua lezione che, saputa cogliere e meditare a lungo, ci fa ripartire con energie insospettate e una nuova gioia di vivere. Perciò, anch’io la ringrazio Dottore per questo suo sguardo di amore verso le persone, che lei ha sempre avuto. Ora però la bilancia della sua vita si è riequilibrata e quando tornerà in ospedale, il suo sguardo nella cura verso il malato sarà ancora più intenso, più profondo e rifletterà l’amore-carità.