Sconvolti, una volta di più, per quanto ancora succede in carcere, vedi la tragedia di Santa Maria Capua Vetere, ritorniamo alle parole di Papa San Giovanni Paolo II del 9 luglio 2000 in occasione del Giubileo delle Carceri. Una riflessione sul tema dell’ingiustizia attraverso un confronto tra Gesù e il carcerato. Il Papa offriva, in tal modo, una nuova visione anche dell’errore e del peccato, della penitenza e del perdono: anche Gesù era stato carcerato e aveva subìto la violenza riservata ai malfattori, Lui che era totale “innocenza”.
Gesù, il carcerato contro la Legge
Gesù, il Figlio di Dio, aveva atteso sgomento il giudizio della “legge” e rischiava una condanna a morte. Il Papa, nella sua visione antropologica, religiosa e sociale, sottolineava come anche Gesù avesse portato i panni del “detenuto”: “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi.” (Mt 25, 35-36). “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 40). Come a dire: Noi tutti ci dobbiamo interessare ai carcerati, al problema delle carceri nella società, ci dobbiamo mobilitare per fare giustizia, affinché venga rispettata la dignità di tutti gli esseri umani. Non dobbiamo rimanere indifferenti o sentirci inermi ma dobbiamo aprire i nostri occhi e il nostro cuore per saper scorgere l’uomo, oltre il detenuto.
Le parole di Gesù, che il Papa sottolineava allora, sono più che mai valide ancora oggi e devono rappresentare un impegno umano e civile per tutti noi. Eppure, l’ultimo appello del Papa Santo prima di morire, a favore di una nuova proposta di legge, di una riforma delle carceri verso una clemenza, non venne accolto dai parlamentari del governo. Nulla è cambiato da allora, non siamo più dunque il Paese di Cesare Beccaria?
A cosa serve il carcere? Vogliamo forse “vendicarci”?
Il carcere serve a realizzare una pena privativa della libertà; a che pro? Vi sono movimenti che esprimono tutta l’inutilità della prigione, come quello promosso da Massimo Pavarini e Livio Ferrari. Il carcere, in verità, non solo non produce sicurezza ma nemmeno redime e non “cambia” in meglio la persona; infatti, il 70% dei reclusi è recidivo. La prigione inoltre viola i diritti dei condannati, i diritti umani.
Emblematico è il problema del sovraffollamento delle carceri come quello di San Vittore che contiene più del doppio di detenuti, delle sue possibilità di capienza. Tale situazione è fonte di degrado, di aggressioni, di suicidi o di tentati suicidi. Il carcere diventa in tal modo un luogo di oppressione, di violenza, senza speranza.
Che senso ha la pena?
Cosa deve cambiare nella persona che si è macchiata di un delitto? Privarlo della libertà, cioè punirlo, non basta evidentemente in quanto produce sofferenza, rabbia e rancore, facendo precipitare l’animo del condannato in una terra bruciata, il cui fuoco cova sotto la cenere. Perciò, dal punto di vista umano ed educativo, la risposta al delitto commesso non può che essere l’educazione alla libertà, alla responsabilità individuale.
Considerato poi che su un totale di 53.637 reclusi, 17.000 sono stranieri, bisogna anche pensare che spesso ciò che spinge a delinquere è il disagio socio-economico dovuto allo sradicamento e non a una vera “scelta” criminosa. Da tempo ormai si portano avanti interventi umani, culturali e professionali volti a modificare quegli atteggiamenti di fondo che ostacolano la capacità di adattamento: istruzione, cultura, lavoro, sport e ricreazione. Tuttavia, per realizzare questi programmi che sono sulla carta, si rende necessario anche un adeguato numero di educatori, che attualmente è insufficiente.
Il concetto di “educazione permanente”
La risposta al delitto non può dunque che essere un intervento volto ad educare a una libertà consapevole. E’ il concetto di “crescita” personale continua che deve aprire ad una nuova visione del recupero umano e sociale del detenuto.
“Tutti possiamo sbagliare, ma si può sempre cambiare“, sono le parole di Papa Francesco nel Giubileo dei detenuti del 2016. E’ stato il suo appello in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri. Egli ha ribadito la necessità di aprire alla speranza e alla prospettiva di reinserimento nella società. Nell’Anno Santo della Misericordia, Papa Francesco ha rinnovato l’invito alle Autorità circa la possibilità di un atto di clemenza, proprio come aveva fatto il Papa polacco nell’Anno Santo 2000.
La speranza “non può essere tolta a nessuno, perché è la forza per andare avanti; è la tensione verso il futuro per trasformare la vita; è una spinta verso il domani, perché l’amore con cui, nonostante tutto, siamo amati, possa diventare nuovo cammino… la speranza è la prova interiore della forza della misericordia di Dio, che chiede di guardare avanti e di vincere, con la fede e l’abbandono in Lui, l’attrattiva verso il male e il peccato”.
Le parole di Papa Francesco
“A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: Perché loro e non io?”. Tutti abbiamo la possibilità di sbagliare: tutti. In una maniera o nell’altra abbiamo sbagliato. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Ma in questo modo si dimentica che tutti siamo peccatori e, spesso, siamo anche prigionieri senza rendercene conto“.
“Nessuno di voi, pertanto si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità”. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita. Non cadiamo nella tentazione “di pensare di non poter essere perdonati… Dio è più grande del nostro cuore” (1 Gv 3,20): “dobbiamo solo affidarci alla sua misericordia”.
Per concludere questa riflessione sulla pena e sull’errore, possiamo aggiungere che concepire una Riforma del sistema penitenziario in Italia, come avvenne per esempio nel lontano 1975, è stato un grande merito e una rivoluzione. Molto più arduo è, come spesso accade per le leggi che entrano in vigore in Italia, saperla applicare e far funzionare secondo l’intento del legislatore.
Infine, dalle illuminanti parole di Papa Francesco, la lezione per imparare ad essere più umani e più umili, a non sentirci superiori ai detenuti. Impariamo a guardarli come “fratelli” nel rispetto e nell’accoglienza. Impariamo anche noi a trasmettere fiducia nell’amore di Dio che apre alla vita sempre, anche dopo un grave e fatale “errore”.