Una battaglia per difendere la vita nascente
La battaglia contro la pillola abortiva RU486 che l’Associazione Pro Vita & Famiglia conduce da anni continua a scandalizzare i sostenitori dell’ideologia femminista. In tale visione, la libertà di scelta della donna, è ritenuta una libertà individuale da anteporsi a tutto e a tutti. Il parere del padre del bambino in tal senso non conta nulla. Perfino la dignità del feto, essere umano in formazione, e il suo diritto alla vita devono passare necessariamente in secondo piano, rispetto al volere assoluto della madre. In questa contrapposizione viene stritolata la possibilità della nascita anche di una nuova famiglia.
Il mito della donna libera, forte e indipendente
Nella visione femminista l’aborto è ritenuto un “diritto” della donna, che diventa la sola responsabile della vita e della morte del figlio in grembo. L’ immagine fornita è quella di una donna libera e forte, padrona del proprio destino che decide in totale autonomia, senza farsi condizionare dal mondo circostante. Ella appare “vincente” come un’ amazzone che cavalca libera nella Cavalcata delle Valchirie di Wagner, a suon di trombe e rullo di tamburi.
Un’immagine che farebbe sorridere se non fosse che dietro questo pseudo “diritto” emerge con forza la più triste e ingiusta verità di una donna che si ritrova completamente sola a decidere davanti al dramma dell’aborto. Nel caso dell’aborto chimico, la donna si ritrova, nella seconda fase, ad abortire nel proprio bagno, anziché in ospedale o in altra struttura del SSN. Lì si trova nascosta ad abortire un piccolo feto, tra i forti dolori delle contrazioni, l’emorragia e il rischio di infezioni… proprio come in un perfetto aborto “clandestino”. Dov’è finita la vigilanza sanitaria che dovrebbe trovarsi sul posto per essere di aiuto?
Che la strategia del Ministro Speranza sia per caso quella di arrivare ad un aborto on line? Quali dati potrà portare alla prossima Relazione in Parlamento se la realtà dell’aborto chimico è stata in tal modo “privatizzata”?
Solo la donna responsabile della scelta di vita o di morte del figlio, perché?
La risposta che viene data è che si tratta di una questione tutta sua, intima, privata e pertanto di sua esclusiva pertinenza. Peccato che la natura stabilisca biologicamente la verità di un figlio che riguarda sia la madre che il padre: il feto infatti è una creatura umana in formazione e appartiene a coloro che lo hanno generato, donando ciascuno metà del proprio patrimonio genetico.
Inoltre, è questo aspetto di “nascondimento” che può attrarre nella scelta dell’aborto chimico: nessuno verrà a saperne nulla. Con un ragionamento di questo tipo: ” Mi prendo le pillole e abortisco in fondo di nascosto e nessuno lo saprà. Mi libero del fardello “feto” e potrò tornare alla mia vita di prima, come immacolata.” Nell’immaginario, la pillola RU486 sembra una bacchetta magica che fa sparire il problema in pochi giorni!
Si tratta di una delle peggiori illusioni della mente. L’inganno si rivelerà dopo avere abortito. La gravità dell’aborto, che il cuore di una donna percepisce spontaneamente nella sua verità, emergerà come un incubo.
A lasciare un segno non sarà tanto il dolore fisico, che del resto si attraversa anche in un parto, ma che poi passa inevitabilmente. A rimanere dentro nell’animo è quel sentire di lucida coscienza che il proprio agito è stata una condanna senza appello per la creatura che si aveva in pancia, che si è gettata via come uno “scarto”. Far fronte ad un aborto è sempre un trauma, specialmente se la gravidanza non era attesa. Nel caso di una donna molto giovane, magari adolescente, si aggiunge un senso di inadeguatezza e di sgomento per una vicenda al di sopra delle proprie possibilità, del proprio pensiero.
Il post-aborto e le sue ferite nel tempo che passa
Sbaglia chi pensa che a turbare nel profondo la donna siano convenzioni sociali e rischi di condanne religiose, che l’hanno resa schiava e succube di una mentalità ancora patriarcale e misogena. Lo sgomento che emergerà con il tempo nella donna che ha abortito in fretta per liberarsi del problema, è legato al rammarico di non aver pensato abbastanza, di non aver soppesato col ragionamento, non aver dato tempo ai sentimenti di essere “digeriti”, compresi e riequilibrati. Perché un figlio si poteva comunque partorire e dare poi in adozione (parto in anonimato). Si poteva fare spazio alla vita e lasciar vivere il figlio. Vi erano altre possibilità che non sono state contemplate. Tutto questo dolore post-aborto si poteva evitare con un pò più di calma e di eleborazione personale del proprio vissuto e della situazione. Certo da sole è molto difficile ma con un aiuto specialistico, si può.
L’aborto chimico può essere preferito rispetto a quello chirurgico pensando sia più semplice e rapido. Tuttavia, non si tiene sufficientemente conto dello sconvolgimeno di sentimenti a cui si andrà incontro. Per prima la terribile “paura” che lascerà ben presto il posto alla malinconia, al rimorso, al senso di colpa. Abortire non rende affatto libera una donna ma bensì schiava di una volontà che si ammanta di onnipotenza, un’illusione che non aiuta a stare bene, a realizzare la propria serenità, il proprio equilibrio ma che può portare alla malattia, all’esaurimento, alla depressione. Negare deliberatamente la vita si rivela sempre un terribile boomerang perché siamo fatti per la vita!
I manifesti di Pro Vita & Famiglia e l’ordinanza del sindaco di Bergamo Gori
In questi ultimi manifesti si può vedere una donna che appare in fin di vita al suolo. Si allude alla favola di Biancaneve con la sua mela avvelenata. La provocazione è chiarissima già nel titolo: Prenderesti mai del veleno? Stop alla pillola abortiva RU486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo. Il manifesto è stato rimosso dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori che ne spiega le ragioni ad Avvenire. Che la pillola abortiva sia pericolosa per la vita della donna è risaputo, come chiarisce il Direttore di Avvenire Marco Tarquinio, rispondendo a Gori. Il manifesto non dice falsità: la RU486 è oggettivamente un veleno perché uccide il bimbo in grembo. Con la rimozione di tali manifesti si vuole imbavagliare con censura, in forma del tutto antidemocratica, il dibattito sulla delicatissima questione del valore della Vita, di ogni vita, di quella della madre e di quella del bambino non ancora nato perché in fondo disturba il “diritto” di aborto che non esiste nemmeno nella 194, come Tarquinio asserisce:
“… il diritto all’aborto, che anche nella legge 194 non esiste in quanto tale, se non come tragico “servizio pubblico” (non privato!) da erogare quando nello scontro tra il diritto di vita sana (fisica e psichica) di colei-che-è-già-nata, la donna in gravidanza, e il diritto di colui/colei-che-non-è-nato/a, la nuova vita nel grembo, la norma consente di far prevalere a certe condizioni il primo. Controproducente su tutto ciò è solo il silenzio presuntuoso o indifferente, oppure il vociare iroso che accompagna e segue ogni “strappo” di manifesti.”
Poster rimossi e vandalizzati in 9 città su 34
Su 34 località dove sono stati esposti, in 9 casi i poster sono stati vandalizzati, deturpati o rimossi: a Roma, Milano, Bergamo, Genova, La Spezia, Ravenna, Trento, Bisceglie e Palermo. In 13 città sono stati utilizzati dei camion-vela, meno aggredibili.
Se ne è discusso nei consigli comunali e, a Milano, il consigliere Matteo Forte ha contestato la rimozione in quanto ” Non vi è obbligo di autorizzazione preventiva e, pertanto, la rimozione va giudicata un arbitrio, una vera e propria censura“. Sabato 19 dicembre a Bergamo si è svolta una manifestazione silenziosa per denunciare questa chiusura al confronto e per difendere la libertà di espressione.
Nel giorno della festa della Famiglia, ricordiamo che dagli ultimi dati ISTAT la famiglia rimane ancora oggi un bene prezioso, che mi piace immaginare simbolicamente come l’Arca di Noè che rimane a galleggiare sulle acque del diluvio, salvando quanto custodisce al suo interno: “la Creazione” con la sua capacità di generare, rinnovando la terra.
La salvezza della società nella Famiglia
Dobbiamo credere nella famiglia: un bambino, una madre e un padre rappresentano la salvezza per una società che rischia l’estinzione. Come fare? Aiutando i giovani ad impostare bene il rapporto di coppia fin dall’inizio e insegnando ai neo genitori cosa significa educare all’amore reciproco innanzitutto. La responsabilità è degli adulti; i genitori educano con l’ esempio di vita, con le loro scelte di fondo, gli interessi che dimostrano e il comportamento che li caratterizza.
Pertanto, i giovani vanno educati fin da piccoli a sviluppare la personalità e il carattere in modo consapevole ed equilibrato, imparando ad usare con abilità le risorse a disposizione di ciascuno: pensiero, parola e sentimento ovvero la capacità di essere, di fare, e soprattutto di amare, incidendo nella società in modo innovativo e creativo, spalancando le braccia alla Vita e a Cristo, l’Amore che si dona per la libertà dal male e la salvezza del mondo.