La pillola potrà essere assunta, d’ora in poi, in day hospital. Del tutto sottovalutati i rischi di morte per la donna ( superiori del 13% rispetto all’aborto chirurgico).
Ecco che anche in Italia, nell’indifferenza generale per la salute della donna, passa una procedura che relega l’aborto a fatto privato, domestico. ( l’articolo del Corriere di oggi spiega bene di cosa si tratti). Non bastava il fatto di sopprimere il bimbo che la donna, spesso, espelle in bagno individuando pezzi di manine e piedini del piccolo. Non bastavano i gravi danni psicologici che il trauma della IVG comporta. Adesso si chiude il cerchio: la donna lasciata a casa a rischiare la vita. Possibile che nessuno abbia a cuore il valore della vita umana?
Riproponiamo il nostro articolo che spiega bene i rischi per la donna, sperando di poter aiutare chi è tentata di abortire.
La RU-486 è una pillola abortiva che combina l’azione del Mifepristone con il Misoprostol (PGE1) al dosaggio di 400-600 mcg. Il suo utilizzo prevede l’assunzione di due compresse: con la prima, il Mifepristone, assunta per via orale, si determina un blocco delle modifiche dell’endometrio uterino necessarie per il nutrimento dell’embrione, tra cui primariamente la chiusura dei vasi sanguigni, provocando l’interruzione della gravidanza. Con la seconda compressa, il Misoprostol, che si assume 24-48 ore dopo per via orale o vaginale, vengono stimolate le contrazioni uterine che portano all’espulsione dell’embrione (60-65%).
La RU-486, quando usata nei tempi e nelle modalità corrette, ha un’efficacia abortiva del 95 % e può essere assunta entro il 49° giorno di gravidanza accertata: si tratta quindi di un farmaco abortivo. In Italia il suo utilizzo prevede ancora il ricovero ospedaliero per 3 giorni, salvo alcune disposizioni regionali o sperimentali che si avvalgono del day hospital, nei quali la donna viene monitorata per gli effetti collaterali, poiché possono verificarsi dolori
Procedura di assunzione della RU-486
La procedura di assunzione viene spiegata nel dettaglio dal Dr. Anthony Levatino, ginecologo americano, in un video che contiene disegni molto eloquenti.
“Si tratta di un aborto medico (nel senso di “non chirurgico”) del I trimestre nel quale la madre assume una pillola con lo scopo di porre fine alla vita del suo bambino; tale aborto è possibile fino alla nona settimana di gravidanza. La procedura prevede due passaggi:
1) Assunzione del mifepristone
In ospedale la donna assume la pillola che contiene mifepristone, chiamata RU-486, che blocca l’azione
2) Assunzione del misoprostolo
Dopo 24-48 ore l’assunzione del mifepristone la donna prende il misoprostolo, chiamato anche Cytotec, per via orale o per via vaginale. RU-486 e misoprostolo causano forti crampi, contrazioni e spesso pesanti sanguinamenti per forzare l’espulsione del bambino, che è già morto, al di fuori dell’utero della mamma. Il processo può essere molto intenso e doloroso e il sanguinamento e le contrazioni possono durare per diversi giorni, mentre la donna può perdere il bambino in un momento qualsiasi. Spesso capita che la donna si trovi sul water e si prepari a espellere il suo bambino che poi verrà eliminato con lo sciacquone. Può capitare che la donna veda il bambino nel sacco, a 9 settimane, per esempio, che sarà all’incirca 2 centimetri di lunghezza : se la mamma guarda accuratamente potrà contare le ditine delle mani e dei piedi. Dopo l’espulsione del suo bambino la donna potrebbe incorrere in spotting e sanguinamenti per diverse settimane.
Rischi connessi all’assunzione di RU-486
I sanguinamenti si concludono, in media, nell’arco di 9-16 giorni. L’8% delle donne sanguina per più di 30 giorni e l’1% richiede ricovero in ospedale a causa delle eccessive emorragie. Talvolta, a causa del fallimento della procedura medica abortiva, si deve ricorrere all’aborto chirurgico. I fallimenti sono del 5% a 7 settimane di gravidanza; a 8 settimane sale il tasso di insuccesso, 8%. A 9 settimane si sale al 10%. Altri effetti collaterali dell’aborto chimico sono dolori addominali, nausea, vomito, diarrea, mal di testa .
RU-486 : casi di decesso della madre
Si sono frequentemente verificati casi di decesso della madre, per la maggior parte determinati da infezioni, ma non solo: è importante, ad esempio, accertare con l’ecografia che non si tratti di una gravidanza ectopica, cioè con ’embrione impiantato nella tuba anzichè nell’utero.(leggi il nostro articolo qui e la triste storia di Holly Patterson). Di questi decessi nessuno ha interesse a parlare, perché gli interessi economici in gioco, per le case farmaceutiche, sono imponenti.
Il dottor Anthony Levatino è un ginecologo abortista che nella sua carriera ha effettuato più di 1200 aborti. Un giorno, come lui stesso racconta, dopo aver completato un aborto, per la prima volta ha guardato, realmente guardato, i resti di un bambino appena abortito, alla cui vita aveva posto fine. In quell’occasione vide che si trattava del figlio o della figlia di una donna e realizzò che uccidere un bambino, a qualunque stadio della gravidanza, era sbagliato. Da allora il Dr.Levatino è diventato uno strenuo difensore pro-life.
Qualche considerazione sulla situazione italiana
In Italia ogni anno il Ministero della salute presenta una relazione al Parlamento sulla applicazione della legge 194/78 sull’aborto. L’associazione dei ginecologi cattolici ha rilasciato a fine gennaio un comunicato molto serio a commento della relazione ministeriale relativa all’anno 2017 con alcuni aspetti riguardanti proprio l’aborto chimico. Il comunicato dell’AIGOC è reperibile sul suo sito web https://aigoc.it e denuncia il gravissimo fatto per cui il numero di aborti volontari eseguiti in regime di urgenza è continuato a crescere raggiungendo la cifra di 14.746 (19,2%). “Questo dato – trascriviamo dal comunicato dell’AIGOC – è anomalo e richiede una indagine accurata da parte del Ministero della Salute e delle altre Autorità competenti perché – contrariamente a quanto affermato a pagina 36 della relazione per giustificare questo dato anomalo ed in crescita, cioè problemi di liste di attesa, di servizi disponibili per l’effettuazione dell’IVG o di necessità di ricorso all’urgenza per poter svolgere l’intervento con il Mifepristone e prostaglandine entro i tempi previsti nel nostro Paese (49 giorni di gestazione) – l’urgenza in ostetricia – come in tutte le branche della medicina – non può essere giustificata da problemi organizzativi o dalle modalità di esecuzione dell’aborto volontario violando quanto previsto, dall’art. 5 della legge 194/1978, che prevede una pausa di riflessione di 7 giorni dopo il rilascio del certificato, ma da problemi di oggettivo pericolo per la salute e/o la vita della donna. Invocare come motivo d’urgenza il poter fare l’aborto chimico invece di quello chirurgico non è scientificamente giustificato perché la mortalità materna registrata in Italia è nettamente superiore a quella dell’aborto chirurgico: calcolando la sola morte di Torino nel 2014 su 77.139 “aborti farmacologici” (RU486+Prostaglandine) fatti in Italia dal 2009 al 2017 si ha una mortalità di 1,30 /100.000 donne , superiore all’1,1/100.000 donne registrata in altri lavori e 13 volte superiore a quella registrata negli aborti chirurgici. Certamente la proposta dell’aborto farmacologico non è finalizzata al bene della donna visti i maggiori rischi cui è esposta se non resta ricoverata fino alla completa espulsione dell’embrione e degli annessi ovulari e tenendo presente il maggior trauma psicologico vissuto dalla donna e talora anche dai familiari perché, come abbiamo detto, l’espulsione del bambino può avvenire a casa in qualsiasi momento ed anche al cospetto di altri figli! Il Ministro – e non solo ! – indaghi e prenda i necessari ed improcrastinabili provvedimenti!”.
(Questo articolo è stato scritto con la consulenza medica del Dott. Roberto Festa)