“Un cuore che batte”, la proposta di legge che riconosce alla donna la libertà di scelta consapevole
Un cortese invito agli amici del giaguaro – Approfondimento per un dibattito interno
Avete mai sentito la famosa barzelletta dell’amico del giaguaro?
E’ un po’ datata, forse non sembrerà granché ai nostri giorni. Eppure, negli anni ’50 è stata il tormentone di un omonimo fortunato spettacolo di varietà televisivo con Gino Bramieri, Raffaele Pisu e Marisa Del Frate; sull’onda del successo ne è pure stato tratto un film con il medesimo titolo. Vi invito a riascoltarla (link) per farvi un’idea.
‘L’amico del giaguaro’ è una figura entrata in quell’epoca nel patrimonio culturale popolare. Rappresenta l’atteggiamento ambiguo di un amico del quale si mette in dubbio la lealtà. Le sue subdole obiezioni, il mettersi continuamente di traverso con dubbi e consigli ostili portano a chiedergli ‘Ma tu sei amico mio o del giaguaro?’. Dove il giaguaro sarebbe l’antagonista dell’amico perplesso.
La difesa del concepito, priorità di tutti i pro-life
Faccio questa premessa per confessare che il presente articolo, destinato ad un approfondimento interno ai movimenti pro-vita, nasce con il medesimo intento di verificare la
Troppe volte ultimamente ho riscontrato da parte di alcuni sostenitori pro-life ritrosie sulle modalità di azione di varie iniziative, senza però proposte alternative di maggior impatto e rilevanza. Sembra, alla prova dei fatti (o dei mancati fatti), che la via della ritirata, del disimpegno e del rinchiudersi in steccati sempre più stretti sia la sola che vada bene.
Piuttosto che far male qualcosa è meglio non far niente, si dice. E così non si fa niente. La giusta osservazione invece sarebbe: piuttosto che far male qualcosa è preferibile farla meglio o fare qualche altra cosa migliore.
Nel dibattito sull’iniziativa di legge popolare sinteticamente chiamata ‘Un cuore che batte’ (che non sto ad illustrare e do per conosciuta ad un uditorio qualificato) ho notato il generoso impegno di molti, che pur si professano nel campo contrario all’aborto, nel volerla affossare con motivazioni spesso pretestuose.
Posso capire e accettare tante cose.
In particolare, è vero che il percorso – di per sé arduo e pieno di ostacoli – avviato dai promotori avrebbe meritato un tavolo più allargato e condiviso nel mondo pro-life. Anche il rilievo sulla difficile applicabilità dell’obbligo che si vuole inserire a carico dei medici è un argomento serio che va tenuto ben presente. Così pure la necessità di focalizzare su iniziative di accoglienza, più che di obbligatorietà, che mettano al centro il riconoscimento del concepito come ‘uno di noi’ è obiettivo meritorio. A patto però che non escluda altre vie e non si sclerotizzi in slogan, privi di seguito concreto (e questa non vuole essere una ingenerosa critica ma una semplice esortazione).
La teoria del “ minestrone”
E qui cerco di arrivare al nocciolo del mio contributo. Nel variegato mondo pro-life italiano
Ora, a me sembra inopportuno ostacolare iniziative che, pur migliorabili, abbiano almeno il merito di sensibilizzare sui temi di accoglienza della vita e cercare di fare breccia su qualche coscienza (che altrimenti rimarrebbe nel suo brodo, avvelenata da ben altri ‘minestroni’). Saranno per qualcuno amare come il sedano, ma alla fine insaporiscono un minestrone fatto di tanti ingredienti che stanno bene insieme; se invece, per pura ipotesi, togliessimo tutti gli ingredienti, il minestrone diventerebbe solo acqua calda.
Se ci facciamo sempre bloccare dagli scrupoli di non offendere qualcuno per non inasprire il conflitto, otterremo una sempre maggiore intolleranza e il risultato di spazi sempre più chiusi.
A volte è necessario porre paletti e alzare steccati per evitare di essere travolti da una macchina che non trova ostacoli. La cultura della morte si prende gli spazi che gli concediamo; se non li contendiamo glieli lasciamo. Gli ostacoli che cerchiamo di porre alla ‘marcia della morte’ possono anche alla fine risultare di poco conto ed essere spazzati via. Ma almeno hanno il pregio di rallentare la marcia ed affinarci nella ricerca di altri ostacoli. Senza ostacoli invece, la valanga scende in un piano sempre più inclinato e diventa più difficile da fermare.
Sporcarsi le mani, metterci la faccia a costo di essere denigrati, può portare ad essere screditati da quella parte che, in ogni caso, sarebbe sorda a qualsiasi dialogo. In compenso, il messaggio può arrivare ad un altro target, più aperto.
Certo, l’opzione migliore è la compattezza di tutti e l’unità di azione, che va sempre cercata. Ma se questa stenta ad arrivare non si possono escludere azioni meno compatte, purché non ‘tossiche’.
Le critiche alla pdlp “ Un cuore che batte “
Ma torniamo in concreto alle critiche sulla proposta di legge popolare.
Relativamente al punto dell’inopportunità dell’obbligo legislativo a carico del medico, peraltro facilmente eludibile in mancanza di sanzioni, così rispondo: non è importante che ci siano sanzioni anzi, è meglio che non ci siano. Ciò che conta non è mandare in galera o rovinare i medici dissenzienti, ma salvare vite umane. Il solo fatto che la legge recepisca questa tutela farebbe ‘cultura’ e si tradurrebbe in un vincolo morale (che poi potrebbe essere puntellato e amplificato).
Anch’io sono convinto che la battaglia per salvare la vita nascente si vince incidendo più nella cultura che non con sanzioni di legge (altra critica molto diffusa nello stesso versante cattolico). Tuttavia, è altrettanto vero che le leggi fanno cultura e appianano la strada alle scelte etiche che sottintendono. La stessa legalizzazione dell’aborto ha spalancato il ricorso a questa pratica, attenuando le riserve o gli scrupoli. Se un comportamento è legale è giusto: questo è quello che pensano i più.
Il libero consenso della donna
Ma c’è di più: se inquadriamo la proposta sul ‘battito del cuore’ non solo negli obiettivi (riduzione degli aborti) ma anche nel presupposto di tutela del libero consenso delle donne, emerge una solida ulteriore argomentazione giuridica, che andrebbe ben spiegata.
Al riguardo, è bene infatti ricordare che la recente legge 219/2017 sul ‘Consenso informato e Dichiarazioni anticipate di trattamento’, ha introdotto il diritto ad un consenso pieno e pienamente informato per ogni trattamento sanitario, nell’ambito di un nuovo concetto di alleanza terapeutica tra medico e paziente. Alleanza che si pretende improntata alla massima chiarezza e trasparenza.
Questo principio è peraltro ricollegabile al primo comma dell’articolo 18 della tanto invocata L. 194/78 che recita testualmente ‘Chiunque cagiona l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l’inganno’. Io sostengo, alla luce delle disposizioni sopra citate, che il personale medico che nascondesse alla madre la realtà dell’aborto convincendola con l’inganno o argomentazioni ingannevoli che è come una sorta di eliminazione di materia organica, si renderebbe passibile di sanzioni per inosservanze legali!
Dunque, negare o eludere l’obbligo di fornire pienezza di informazioni a chi vuole abortire (come si configura nell’esclusione di quella realtà autoevidente che è l’auscultazione di un battito cardiaco) significa contravvenire ad un principio sempre più considerato dalla dottrina e giurisprudenza come inalienabile e incomprimibile: il diritto del paziente di un trattamento sanitario ad ottenere un ‘consenso informato’.
Non può essere, allora, che l’obbligo di tutela del consenso informato sia per il medico ineludibile e sanzionabile quando è funzionale a scelte di morte (DAT) e divenga invece un optional quando una informazione veramente piena possa portare a salvare una vita, sventando un aborto. Dunque, si mettano sullo stesso piano fattispecie analoghe: stessi obblighi, responsabilità e conseguenze sia per il medico che non adempie agli obblighi relativi al consenso informato sul versante del fine vita che per quello che non li adempie nell’altro versante, che riguarda la vita nascente.
Il diritto della donna ad essere pienamente informata
Concludo qui questo mio intervento, che vuole offrire spunti critici e costruttivi ad un dibattito che deve rimanere interno. Ribadisco che non difendo a spada tratta la proposta di legge in esame, sicuramente perfettibile. Ad esempio, a mio avviso estenderei l’obbligo di auscultazione e di assistere all’ecografia anche al padre del concepito, se identificabile (visto che spesso si rende responsabile di minacce e odiose pressioni abortiste: vere e proprie violenze sulle donne!).
Heartbeat bill: i pro-life americani fanno scuola
Difendo tuttavia i promotori e il loro progetto perché ravviso non solo una generica buona volontà o buona fede ma anche la concreta possibilità di incidere positivamente nel dibattito
Il boomerang (o la mazzata, se preferite) arriva se si gioca solo e sempre in difesa. Volendo fare una metafora calcistica, se una squadra si arrocca nella propria area di rigore a difesa dello zero a zero contro una squadra fortissima e nettamente superiore, può anche resistere molti minuti, ma difficilmente finirà la partita con la rete inviolata (ammesso che quello sia un buon risultato). Se vuoi vincere una partita devi provare ad attaccare, anche esponendoti al contropiede. E anche se l’avversario è molto più forte. Non puoi limitarti a posticipare il momento in cui prenderai un goal.
Dunque, per concludere veramente (dopo il falso tentativo di qualche capoverso fa): se pensiamo che il grembo materno debba essere una culla e non una tomba svegliamoci, diamo voce alla vita e andiamo a firmare la petizione senza altri indugi, nel nostro Comune.
Come hanno dimostrato i pro-life statunitensi, ascoltare un cuore tocca il cuore.
Diamo voce alla vita!
Roberto Allieri
Presidente Movimento per la Vita Valle Cavallina (Bergamo)