La proposta di legge popolare “ Un cuore che batte” è la chiave per salvare i bimbi dall’ aborto e ridare alla donna la vera libertà di scelta.
“Si deve cominciare dal rinnovare la cultura della vita all’interno delle stesse comunità cristiane. Troppo spesso i credenti, perfino quanti partecipano attivamente alla vita ecclesiale, cadono in una sorta di dissociazione tra la fede cristiana e le sue esigenze etiche a riguardo della vita, giungendo così al soggettivismo morale e a taluni comportamenti inaccettabili” (San Giovanni Paolo II – Evangelium Vitæ 95).
Iniziativa ‘un cuore che batte’. Per qualche ‘amico del giaguaro’ è un cuore che deve fermarsi
La risposta è questa: serve perché questa sfida non dura 90 minuti ma è una partita che non finisce mai; e quindi lascia aperte impensate possibilità di recupero.
Anche i pro-life americani, dopo la sentenza del ‘73 Roe vs Wade che apriva alla legalizzazione dell’aborto, ad un certo punto arrivarono a soccombere per sei a zero. Tuttavia, unendosi e perseverando per molti anni, sono riusciti a colmare lo svantaggio ed oggi la maggioranza dei cittadini americani è dalla loro parte (anche se non tutte le loro leggi rispecchiano tale orientamento).
Il primo punto è quindi quello di compattarsi nella battaglia ed agire uniti.
Per questo ritengo importante ribattere colpo su colpo a tutte le critiche che possono sollevarsi nel dibattito interno. Gli stessi chiarimenti possono poi diventare utili anche in quell’opera di proselitismo sociale che dobbiamo rivendicare, senza auto-limitazioni. Perché, nella nostra società, tutti fanno proselitismo sui propri ideali, sulle convinzioni politiche, religiose, sanitarie o sui prodotti commerciali. ‘EnjoyCoca cola’, ‘orgoglio gay’, ‘Allah Akhbar’, ‘Agenda 2030’, etc. Se qualcuno ritiene di poter offrire qualcosa di buono alla società lo fa con entusiasmo. Persino a chi offre pornografia, droghe o sballi pericolosi sono concessi spazi per promuovere il proprio proselitismo. Chissà perché, secondo qualcuno, solo i cattolici su certi temi dovrebbero starsene zitti per non urtare suscettibilità o per non disturbare ‘i manovratori’.
Entro dunque nel vivo di alcune segnalazioni di perplessità, ulteriori rispetto a quelle già trattate nell’articolo citato. Con il massimo rispetto se sono dettate da sincerità e dalla mancanza di una piena comprensione dei risvolti etici. E però con l’invito a considerare con lo stesso rispetto e senza pregiudizi un punto di vista che scomodamente può mettere in crisi proprie convinzioni.
Obiezione di coscienza: la si contesta per chi non vuole cooperare a scelte di morte e la si invoca per chi le realizza
Primo punto controverso di cui ho avuto notizia: la questione dell’obbligatorietà di far auscultare alla madre che vuole abortire il battito del cuore mette in discussione l’obiezione di coscienza. Se questa fosse negata al medico abortista allora andrebbe negata anche in genere ai sensi della legge 194 ai medici non abortisti che si rifiutano di cooperare all’aborto.
Il pretesto è inconsistente e può essere spiegato riflettendo sul l’origine e sul significato dell’istituto giuridico dell’obiezione di coscienza’. Il discorso qui esige però una certa attenzione.
Partiamo da una premessa storica.
Dopo la seconda tragica guerra mondiale si costituisce a Norimberga un Tribunale dove vengono giudicati i più tremendi crimini perpetrati dai gerarchi nazisti.
Non sono un giustizialista, né un giacobino, per cui non voglio certo destare ammirazione per quei giudici che puntavano il dito contro i nazisti, con potere di vita o di morte.
Tuttavia, c’è un punto importante che mi preme sottolineare. Per la prima volta assume rilevanza giuridica e pieno riconoscimento l’obiezione di coscienza.
In sostanza, ad un certo punto si discute di questo: i medici nazisti sono accusati di aver torturato, sottoposto ad esperimenti crudeli e ucciso migliaia di ebrei. Loro ribattono di aver dovuto obbedire a ordini di superiori e a leggi dello Stato; e, se non lo avessero fatto, avrebbero rischiato la propria vita. Tuttavia, il principio che emerse fu questo: una legge o un comando dell’autorità che va contro i valori umani essenziali attinenti la vita non hanno forza obbligante ma devono essere disattesi (e possibilmente anche denunciati e contrastati). La voce della coscienza – l’obiezione di coscienza – è l’opzione da seguire quando è in gioco direttamente una vita umana da salvare.
Questo principio è stato poi riaffermato a livello di diritto internazionale e recepito ad esempio nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, tuttora valida. L’articolo 18 infatti recita “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione etc…”.
E in Italia come viene regolato questo diritto? L’obiezione di coscienza, nel nostro ordinamento giuridico, è riconosciuta in via limitata, riferita a quattro tematiche, tutte comunque strettamente collegate alla difesa della vita (sulle quali per snellezza non posso dilungarmi). La prima precisazione, infatti, è che non si può invocare l’OdC a vanvera. Ad esempio, non posso avvalermene per non pagare le tasse, o anche per diritti importanti. Un sindaco che si rifiuta di celebrare una unione civile tra persone dello stesso sesso non può appellarsi ad essa. L’obiezione di coscienza ha comunque sempre a che fare con la salvaguardia della vita minacciata di una persona.
Differenze tra obiezione di coscienza e clausola di coscienza
Al di fuori delle leggi dello Stato, troviamo poi disposizioni in materia anche in molteplici codici di deontologia professionale, che salvaguardano la clausola di coscienza. Le possiamo riscontrare soprattutto nell’ambito di quelle norme comportamentali (o deontologiche) prescritte da categorie particolari, quali medici, ostetriche, infermieri, farmacisti e operatori sanitari in genere. Non sono però norme dello Stato e quindi vincolano direttamente solo gli aderenti all’interno della categoria professionale.
C’è una sostanziale diversità tra obiezione di coscienza e clausola di coscienza: la prima, a differenza della seconda, è norma dello Stato e ‘istituzionalizzata’, cioè recepita e disciplinata in un ordinamento giuridico. Essa si svolge ‘secondum legem’ e non ‘contra legem’. L’obiettore ha un diritto, delineato da una legge, e può essere tutelato dallo Stato quando viene minacciato (anche se poi, nel concreto, i giudici ‘creativi ed eversivi’ applicano le leggi che hanno in mente loro). Questo diritto ha quindi uno scudo giuridico contro la pretesa di chi non vuole riconoscerlo.
Quindi, richiamate queste considerazioni, io credo che il medico che in coscienza si rifiuta di praticare aborti, possa appellarsi all’OdC e allo scudo legale a lui riconosciuto, attinente ad una minaccia alla vita.
Invece il medico che si rifiuta di disporre l’auscultazione del cuore di un feto non può appellarsi all’OdC, perché far ascoltare un battito del cuore non è una minaccia alla vita, anzi può essere il contrario. Il suo rifiuto non può essere motivato dalla suprema necessità di salvare una vita. Al più può essere normato come ‘clausola di coscienza’ da codici deontologici e regolamenti ospedalieri.
Ascoltare il suono della vita sconvolge la vita
E veniamo ad un’altra riserva che è stata sollevata: ribattendo sul tasto della tortura psicologica (sul quale ho già precisato in precedenza) si arriva a paventare che la madre che si trova a dover affrontare questa prova (l’ascolto del cuore che batte del proprio figlio) potrebbe rimanere sconvolta e pensare al suicidio.
Ebbene, io penso che far sentire il battito del cuore di un bambino sia un modo di togliere un velo alla menzogna e all’ipocrisia. Un invito ad aprire gli occhi a chi vuole tenerli chiusi per non riconoscere una verità: chi viene abortito è una persona. La più grande sofferenza è la sua!
Tutti questi scrupoli e fasciarsi la testa per opporsi a questa possibilità sono spesso pretesti sconfessati dalla realtà. Infatti, dove queste leggi sono state applicate, negli Stati Uniti, si sono riscontrate molte migliaia di vite salvate ma nessun suicidio di madri. Anzi in genere, aldilà dell’ascolto o meno del battito del cuore, salvo rarissime eccezioni che confermano la regola, nessuna madre dopo aver accolto in braccio il figlio che aveva pensato di abortire, si pente della scelta e pensa al suicidio. E comunque c’è sempre la via dell’affido con salvaguardia dell’anonimato.
“Se difendi la vita fragile anche il tuo rispetto e i tuoi diritti diventano più fragili”
Altra obiezione che ho sentito: questa prescrizione di legge accrescerebbe ancora di più il contrasto di personale medico non abortista con i colleghi abortisti e renderebbe ancora più difficile lavorare insieme.
E io dico: se i colleghi abortisti sono così spietati con chi promuove la difesa della vita non per questo occorre adeguarsi per quieto vivere al loro disprezzo. Se viene sbandierato da una parte il diritto di fare proselitismo per chi promuove l’aborto, perché lo si dovrebbe negare per chi si batte in difesa della vita?
Appelli finali a cessare il fuoco amico
Vorrei concludere qui questa breve carrellata di riflessioni, rendendomi disponibile per altre delucidazioni o dubbi, invitando chi, pur avendo una sensibilità pro-life, non è del tutto convinto sulla bontà dell’iniziativa in esame.
A tutti costoro vorrei però ricordare che, tra tutte le recriminazioni e presunte violazioni che possono essere eccepite, il diritto di vivere viene prima di tutti gli altri.
Come sempre, il nodo cruciale della questione sta nel valore che diamo alla creatura che viene abortita. E’ vero che non tutti lo comprendono. Cerchiamo almeno noi, di averlo presente! Se noi non possiamo imporre la vita è vero anche che altri non possono imporre la morte. Il nostro intento è quello di proporre vita, in alternativa a proposte di morte che non vogliono essere messe in discussione.
Scegliere ‘un cuore che batte’ mette l’opzione vita su un braccio della bilancia che si vorrebbe piena di opzioni solo nell’altro.
Termino con un appello per richiamare chi si professa cattolico al rispetto della vita e della dignità di ogni essere umano:
Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato, ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto del Cristo. Non si possono scartare! (Papa Francesco)
Leggi qui l’intervista a Mons. Suetta, Vescovo di Ventimiglia.
Dott. Roberto Allieri
Presidente del Movimento per la Vita Val Cavallina ( Bergamo)